10.8.07

la radiofonia italiana durante gli anni del fascismo - Roma e il Mondo

Roma e il mondo



Se nella gestione del potere , il regime fascista non ebbe nella politica culturale interna i risultati attesi, tuttavia conseguì nei primi dieci anni della sua esistenza un notevole successo nel presentare favorevolmente la propria immagine agli altri Paesi attraverso una massiccia propaganda. In questo obiettivo la radio fu solo uno degli strumenti adottati dal regime per lo scopo, per raggiungere il quale venne adoperato ogni mezzo a disposizione, dalla stampa al cinema, alle pubblicazioni e persino alle agenzie turistiche. La propaganda fascista all’estero fu l’aspetto sul quale il regime investì la sua maggiore capacità di penetrazione e alla quale dovette in massima parte la credibilità che seppe conquistarsi (i).
La ragione del successo si può evidenziare nell’intuito di Gaetano Salvemini: " In Italia poteva far ingoiare ai sudditi tutto ciò che voleva, dato che aveva sterminato ogni opposizione. Fuori d’Italia non poteva rompere le teste. Doveva
conquistarle. E ne conquistò un gran numero, se non tutte" (ii).

"Non è un caso che le trasmissioni dell'Eiar dirette a paesi stranieri si sviluppino in coincidenza con l'affermarsi dell'informazione di attualità e del giornale radio. All'origine della radiopropaganda per l'estero c'è, in più un'esigenza di natura esclusivamente politica" (iii).
Il metodo di propaganda era lo stesso che veniva utilizzato all’interno, fare cioé in modo che venisse presentata solo una faccia della realtà del Paese, così la politica messa in atto in Italia dal regime fu praticata anche a conquistarsi il favore dell’opinione pubblica straniera. In questo senso la propaganda divenne un elemento della politica estera fascista, almeno fino a quando i disastri militari del ‘41-’43 non rivelarono al mondo il bluff nel quale essa si fondava.

E’ difficile indicare precisamente il momento della nascita dell’attività dell'Eiar rivolta al pubblico internazionale, poiché non vi fu un piano ben definito ne la consapevolezza della funzione della radio per l’estero (iv).
Le iniziative prese nel corso degli anni '30 furono solo una risposta a sollecitazioni esterne, oppure un tentativo di controbattere l’azione della propaganda antifascista. Si può assumere come data simbolica per l’inizio della radio per l’estero il 1° gennaio del 1931, quando Mussolini pronunciò al microfono di Radio Roma un breve discorso in inglese destinato al pubblico nordamericano e ritrasmesso negli Stati Uniti e nel Canada (v), la trasmissione inaugurò con le parole del duce i contatti internazionali della radio italiana.

Restò però un episodio isolato, cui non seguì nessun programma politico preciso, cui bisogna aggiungere che gli impianti dell’Eiar e la stessa struttura dell’ente non consentivano ancora di diffondere programmi molto al di la dei confini, solo le emissioni di Prato Smeraldo (vi) potevano dopo il 1930 coprire distanze intercontinentali.
Dopo la trasmissione del 1° gennaio 1931 la stazione di Prato Smeraldo aveva contribuito alla diffusione dei messaggi di Marconi, Marinetti, Farinelli, e Marpicati agli intellettuali di tutto il mondo, in occasione del decennale del regime nell’ottobre del ‘32 (vii).

Certamente fin dalla nascita la radio italiana era ascoltata all'estero, ma l'interesse riguardava le trasmissioni musicali.
I primi timidi timidi accenni alla rilevanza politica nelle trasmissioni per l'estero si hanno nel 1928 quando venne decisa dal Comitato Superiore di Vigilanza sulle Radiodiffusioni la costruzione di una stazione a onda corta a Roma, il cui scopo era proprio quello di far giungere i programmi nazionali in America e nelle colonie italiane in Africa (viii).

La prima originale azione dell'Eiar in campo internazionale fu la nascita di Radio Bari (ix). Le prime emissioni irradiate da Radio Bari, a partire dal 15 agosto 1933, furono in lingua albanese.
Si trattava di un modesto programma di informazioni economiche organizzato dalla Camera del Commercio italo-orientale di Bari (x). Queste trasmissioni erano curate da un giornalista albanese: Sopoti Mazar.
Di carattere più spiccatamente politiche furono le trasmissioni dirette verso la penisola balcanica e i paesi arabi.

Nel 1934 Radio Bari iniziò le trasmissioni per i paesi arabi e ben presto i suoi appuntamenti trisettimanali con notiziari, musiche varie e conferenze, divennero molto noti (xi).

Bari fu la prima emittente araba in tutto il bacino mediterraneo. Essa nacque per dare una risposta alle richieste della Libia e di altri paesi arabi di trasmissioni in lingua, e difatti l'intervento dell'Eiar nel mondo arabo resta l'aspetto più originale della propaganda radio all'estero in quel periodo.
Altre forme di presenza internazionale della radio italiana fra il '34 e il '35 è costituita dai notiziari in alcune lingue europee e dalla utilizzazione di impianti direzionali ad onde corte per trasmissioni dirette in America. Agli inizi del 1935 si intensificarono le trasmissioni per gli Stati Uniti. Con le trasmissioni dirette verso le due Americhe si cercava di consolidare le relazioni con le comunità italiane e con i governi del nuovo continente; inoltre si cercava di dare "un
immagine dell'Italia completamente trasformata da quella che gli emigrati avevano nella memoria" (xii).

Nella imminenza del conflitto etiopico le trasmissioni per l'estero furono estese anche all'Africa orientale e durante il conflitto i vari programmi furono intensificati fino a divenire quotidiani: non erano altro che una riproduzione dei
programmi irradiati per il territorio nazionale.

Il conflitto etiopico fu preceduto da una massiccia propaganda che accompagnò la controversia fra Società delle Nazioni e lo Stato italiano. Durante l'escalation della politica estera in senso colonialista di Mussolini, numerose erano le perplessità nello spirito pubblico italiano sulla necessità dell'avventura etiopica. Se da una parte vi era una relativa stabilità del regime, dall'altra cominciano a manifestarsi i primi sintomi di malessere e di malcontenti, soprattutto tra le masse popolari. Di contro ciò si cercava di trasformare l'acquiescenza degli anni della crisi economica in uno stato di tensione pubblica permanente, di adesione emotiva, di clima di guerra. Si trattava di imprimere una svolta alla qualità del consenso.In questa fase la radio venne rivalutata. Perché soltanto essa poteva consentire un immediata diffusione del messaggio politico e la ricezione simultanea di esso sull'intero territorio nazionale.

"Il discorso che il duce pronunziò il 2 ottobre 1935 sulla guerra contro l'Etiopia, nella cornice di una radiocronaca propiziatrice di attese e di effetti, presentava caratteristiche completamente diverse e nuove rispetto alle precedenti manifestazioni. Fino ad allora alla radio era toccato il compito della pura riproduzione simultanea degli spettacoli oratorii del duce. Questa volta il ruolo della radio era mutato. Essa era divenuta la componente essenziale e indispensabile della manifestazione. Per la prima volta il capo fascista si rivolgeva direttamente all'intero Paese, alla grande platea nazionale per esaltare l'immagine collettiva di un popolo in ascolto: "Venti milioni di uomini sono in questo momento raccolti nelle
piazze di tutta Italia. E' la più gigantesca dimostrazione che la storia del genere umano ricordi. Venti milioni: ma un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola. Questa manifestazione vuole significare che l'identità tra Italia e Fascismo é perfetta, assoluta, inalterabile". Era il riconoscimento del ruolo centrale della radio nel determinare il modo stesso con cui il regime fascista si riconosceva e si mobilitava. La radio assicurava l'identità tra l'Italia e il fascismo. L'ampiezza del rapporto simultaneo, ma, più ancora, la tempestività con cui l'apparato radiofonico aveva funzionato, la collaborazione tra le centrali politiche e l'Eiar e soprattutto il raccordo tra le organizzazioni periferiche del regime e i terminali occasionali della radiodiffusione avevano superato il più severo collaudo" (xiii).

Si delinea così l'"impero" radiofonico fascista: la penisola balcanica, il Medio e Estremo Oriente, l'Africa settentrionale e Orientale da una parte; le due Americhe dall'altra.Uno dei primi provvedimenti di Galeazzo Ciano, in veste di sottosegretario alla Stampa e Propaganda, fu il coordinamento e l'incentivazione alla diffusione dei bollettini radiofonici a onde corte in italiano, inglese e tedesco.Per la parte internazionale l'Eiar si distingue, sempre per volere delle gerarchie del regime, nell'adoperare giornalisti di madrelingua e qualche esponente culturale dei singoli paesi. Ma In un primo momento la qualità dei bollettini per l'estero lasciavano a desiderare.
Così si esprimeva Gigi Michelotti, direttore del "Radiocorriere", con un giornalista torinese della "Gazzetta del popolo" :" I radiouditori in Germania quando ascoltano la radio della stazione Eiar di Milano non possono fare a meno di ridere. La trasmissione viene fatta in un tedesco così malamente tradotto che fa ridere [...] Più che un inconveniente è uno sconcio" (xiv).

Per quanto concerne il tipo di informazioni trasmesse nelle diverse lingue, da una parte c'è la sottolineatura del primato italiano fascista, dall'altra l'individuazione e l'incoraggiamento delle forze filofasciste.

Già nel '34 la subordinazione delle informazioni agli interessi del regime veniva notata all'estero con una radicale critica al sistema fascista di propaganda in Spagna (xv) e con uno scarso ascolto delle trasmissioni troppo retoriche negli StatiUniti (xvi).

Con il nuovo corso storico che Mussolini aveva assegnato all'Italia fascista, le trasmissioni per l'estero avevano la della voce di Roma.

In generale, tutte le trasmissioni dirette ai paesi del bacino mediterraneo, e al mondo arabo, dopo il 1936 rappresentarono un elemento considerevole di tutta la propaganda radiofonica fascista, chiamata ormai a interessarsi sempre maggiormente dell'aspetto politico internazionale.
Difatti la guerra di Spagna mobilitò l'apparato propagandistico della radio, tanto che il Ministro degli Esteri chiese un piano di trasmissioni in lingua spagnola e catalana, da mandare in onda dalle stazioni di Milano, Roma, Firenze e Genova.
Propio dalla Spagna, dove l'ambasciata italiana cercava di incoraggiare gli elementi filofascisti, provenivano trasmissioni antifasciste che misero in allarme le gerarchie del regime. Ma non sono solo le voci avversarie a farsi sentire via radio, perché altre stazioni antifasciste sono captabili in varie parti d'Italia.
Da questa prima individuazione della pericolosità antifascista proprio in un settore dominato dal controllo del regime deriva probabilmente la decisione di passare alla controffensiva radiofonica, per una organizzazione di disturbo delle trasmissioni ostili, con le trasmissioni di Radio Verdad che per quasi due anni costituirono una delle maggiori attività della radio all'estero. Le trasmissioni avrebbero dovuto figurare come provenienti da una stazione clandestina spagnola denominata "Radio Verdad" (Verità)xvii. La preparazione dei notiziari venne affidata ad personaggio spagnolo raccomandato dall'ambasciata di Spagna.

Questa iniziativa determinò un ulteriore progetto di emissione di altre due stazioni a Torino, al fine di controbattere le due stazioni ritenute più pericolose nella Spagna rossa, Barcellona e Madrid; il progetto non fu realizzato perché Radio Verdad ebbe un notevole successo e inoltre perché l'Eiar non poteva impegnare tante ore di trasmissione solo per il pubblico spagnolo, anche se era forte la preoccupazione italiana per l'azione delle emittenti rosse spagnole, che con i loro notiziari antifascisti anche in italiano minacciavano più di ogni altro avversario la gestione fascista del consenso attraverso la radio.

Radio Verdad viene così ad assumere una duplice funzione: da un lato agiva da disturbo per le emittenti della Spagna repubblicana, dall'altro svolgeva azione di propaganda nelle file rosse.

I metodi propagandistici di Radio Verdad erano i soliti dei mass media fascisti: scontro tra civiltà e barbarie, difesa dei valori tradizionali e religiosi contro l'ateismo bolscevico e anarchico.
Lo scontro tra emittenti italiane e spagnole
rappresentò uno dei primi casi di guerra radiofonica, che fece la sua prova generale in vista del secondo conflitto mondiale.

La partecipazione dell'Italia fascista alla guerra del generale Franco fece della radio per l'estero e soprattutto per la Spagna, non solo un settore speciale della propaganda all'estero, ma un elemento essenziale di supporto internazionale ed interno alla credibilità del regime.

Le trasmissioni di Radio Verdad ebbero un ruolo primario nell'informazione del pubblico spagnolo, in concorrenza quasi esclusivamente con le emittenti di parte antifascista. Già dopo alcune settimane di attività Radio Verdad aveva suscitato molto entusiasmo specialmente in Catalogna, tanto che i dirigenti franchisti cercarono di gestire direttamente le trasmissioni, chiedendo che esse venissero preparate a Salamanca, e che i servizi fossero messi in onda da una stazione locale ad onde corte e poi ritrasmessi dalle varie stazioni italiane.

I responsabili italiani rifiutarono, procedendo anzi a un maggior sfruttamento della situazione, che si rivelava sempre più utile in politica estera

Oltre i servizi di notiziari militari militari e politici tratti da fonti ufficiali, Radio Verdad utilizzò corrispondenze giornalistiche italiane, ma più dei notiziari radiofonici ai franchisti erano necessarie armi e gli aeroplani che il regime inviava loro, insieme alla Germania di Hitler, per giustificare la lotta contro il bolscevismo. La grandiosa campagna propagandistica che venne montata nei due stati totalitari contro il bolscevismo e la Terza internazionale ebbe notevoli effetti politico-morali in tutta Europa, e non manco di influenzare persino la Santa Sede (xviii).

Radio Verdad non fu l'unica emittente clandestina realizzata dal regime fascista.
Sempre nel quadro della reazione alla propaganda radiofonica antifascista, in particolar modo a quella comunista , e che si inseriva nel più ampio piano del patto anticomintern. La sera del 26 marzo 1938, al suono dell'Internazionale iniziavano le trasmissioni di Radio Mosca, emittente antistalinista. La gestione della propaganda antistalinista fu affidata al dottor Tommaso Napolitano, "profondo conoscitore" del mondo sovietico.
Il progetto si basava su un immaginario partito illegale, leninista ma antistalinista; chiaro l'intento di cercare di indebolire dall'interno il PC sovietico. Radio Mosca si presentò come la voce del partito dell'unione dei liberatori (Sojuz Osvobozdenija) (xix), il cui programma, con richiami leninisti, attribuiva al nuovo partito alcune idee del fascismo.
L'emittente ingannò l'opinione pubblica internazionale, la quale era convinta di trovarsi di fronte ad una vera opposizione antistaliniana. Ma quanto di tutto questo giungesse in Unione Sovietica é difficile dirlo; però una cosa è sicuro, stando a ciò che riportò la stampa internazionale: il governo sovietico operò azioni di disturbo durante le trasmissioni e la sua attività fu accuratamente seguita dalle alte gerarchie sovietiche, e le sue emissioni erano facilmente captabili in una vasta zona dell'Urss. In seguito al patto Molotov-Ribbentrop, Radio Mosca sospese le trasmissioni per riprenderle poi nel 1940 (xx).

A partire dal 1938 la propaganda é caratterizzata dal clima prebellico, sono anni, questi, che vedono il completo allineamento dell'Italia fascista alla Germania nazista (xxi). Le trasmissioni radio venivano diffuse in 23 lingue in tutti i continenti (xxii).

Nel gennaio 1939 iniziarono le trasmissioni di "Corsica Libera". si trattava di trasmissioni rivolte a suscitare sentimenti antifrancesi e facevano parte di un chiaro disegno annessionistico dell'Italia, che veniva abilmente tenuto nascosto per non toccare la molla dello spirito indipendentista del popolo corso(xxiii).

Il massimo sforzo propagandistico della radio italiana fu compiuto fra il 1939 e il 1943, e fu diretto verso i paesi arabi (xxiv): Radio Bari (xxv) divenne famosissima per le sue trasmissioni dirette in Siria, Palestina, Libano, Iraq,, Egitto, Algeria, Tunisia e Marocco.
Con tali trasmissioni si cercava di sfruttare i sentimenti anticolonialisti e antimperialisti delle popolazioni indigene sottoposte al dominio francese e britannico, facendo apparire in piena luce l'azione liberatrice delle forze dell'Asse (xxvi).

Non era facile tenera testa alla concorrenza delle trasmissioni estere in lingua araba.
"Difetti di pronuncia, inconvenienti tecnici, un uso spesso letterario della lingua araba non sempre compresa facilmente dalle popolazioni del Nord Africa, rendevano effettivamente assai problematica l'efficacia della propaganda che, dal 1940, trovò nelle trasmissioni inglesi, emesse da Radio Londra e Radio Daventry un temibile concorrente......" (xxvii).

Una delle caratteristiche dell'onda sonora radiofonica è la sua dimensione internazionale, e le varie società radiofoniche avevano impostato la loro propaganda proprio sul "mondo in casa" che l'apparecchio offriva ai radioascoltatori.

Anche l'ente radiofonico italiano aveva dato grande rilievo ai programmi stranieri e da parte fascista non si evidenziava nessun tipo di preoccupazione nei confronti della radiofonia internazionale, tanto che nel 1934 e nel 1935, il "Radiocorriere" riportava gli estremi delle conversazioni in lingue estere trasmesse dalle stazioni sovietiche.

A cavallo tra il '35 - '36, in coincidenza del conflitto etiopico e della guerra civile spagnola, l'ascolto radiofonico cresce a ritmi notevoli: ciò fu dovuto, sia alla ricerca continua di notizie di prima mano sui famigliari sotto le armi, sia alla esigenza di un'informazione completa sull'effettivo andamento dell'operazioni belliche (xxviii).

L'effetto più evidente provocato da questo aumento dell'ascolto radiofonico fu "un cambiamento evidente nelle abitudini serali degli italiani": "[...] Come sono lontani i tempi quando a passar lietamente la serata familiare bastavano quattro chiacchere, una tazza di tè, una torta, [...] e un pò di musica. [...] Ma ancora nelle case una buona radio riconduce ora piacevolmente il modo di trascorrere una lieta serata. Avviene che mentre girate il bottone magico, in traccia del giornale radio, cogliete a volo qualche brano di una trasmissione di altro genere: opera, commedia, concerto, conversazione, radiocronaca. Captata l'onda che si cercava, udito quel che si voleva ascoltare, quel brano udito a caso opera sulla curiosità e sul desiderio. Si torna a quel punto della scala indicatrice della lunghezza d'onda sul quale ci si era momentaneamente fermati... e magari vi ci si ferma per tutta la serata, rimandando l'uscita che si aveva in programma [...] Roma, Parigi, Londra, Berlino si susseguono, se vi piace, a parlarvi dalla bocca rotonda dell'altoparlante" (xxix).

Ma il giornalista del "Radiocorriere" non si rendeva conto del pericolo che correva il monolitismo del regime da queste forme di ascolto collettivo.

L'aumento del ascolto provocò anche la adozione, da parte del ministero per la Stampa e la Propaganda, di misure di prevenzione e di interdizione all'ascolto delle radio straniere, che furono prese a partire dall'ottobre 1935: si vietava l'ascolto delle stazioni straniere nei locali pubblici (xxx). Divieto che riguardava gli ascoltatori che comprendevano le lingue straniere.

E' proprio in questi anni che germogliano le premesse di quello che, durante il secondo conflitto mondiale, sarà conosciuto come l'"ascolto clandestino di massa".




annoImputatipene comminate (in mesi)
193517
1936836
193777954
19382128
1939226
La repressione dell'ascolto (xxxi)

La mancanza di un vero e proprio apparecchio popolare fa crescere l'ascolto collettivo di gruppo e il moltiplicarsi dei centri di clandestini di ascolto, aumentano anche i sotterfugi per potersi accaparrare l'apparecchio necessario,sottraendosi non solo alla tassa di abbonamento, ma anche alla sorveglianza della polizia e dei fascisti:
"Siccome i mezzi finanziari non permettono a tutti di avere una radio ___ riportava un anonimo militante antifascista in un documento di partito ___ e neppure coloro che la posseggono possono invitare in massa gli amici a causa dell'assiduo controllo poliziesco,allora si escogitano ogni sorta di trovate per rimediare a tali disgrazie. La più comune è quella di andare da un rivenditore di radio, fargli credere ci comperarla e farsela dare in prestito per una decina di giorni o quindici, dopo naturalmente gli viene riportata. Infine molti radiotecnici improvvisati si hanno, non è raro vedere da questi, con pezzi che a un radiotecnico non sarebbero serviti a niente, montare una radio che servono benissimo allo scopo [...] Il fatto è che l'interessamento ___ in seguito ai fatti di Spagna ___ degli operai e dei contadini, sempre più grande che dimostrano per la radio, ha preoccupato le autorità e fattogli prendere misure severe. In questa è proibito nei locali pubblici, la radiodiffusione, e nelle case ove personalmente si possegga la radio è proibito invitare amici ad ascoltare" (xxxii).

La radio dava la possibilità di un ascolto non solo non velinato, ma variato e personalizzato, sintonizzandosi sulle stazioni estere e sulle prime centrali radio della propaganda antifascista.

Fino al 1936 il movimento antifascista sottovalutò la grande forza della radio nella propaganda interna del Paese.
Nei primi mesi del 1936 è Carlo Rosselli, leader di "Giustizia e libertà" in direzione a utilizzare il mezzo radiofonico come veicolo di propaganda antifascista. Si era incontrato più volte con Luigi Longo proponendogli un'azione concertata di propaganda fra "giellisti" e comunisti che avrebbe dovuto basarsi sulla fornitura di materiale stampato e di apparecchi radio a un gran numero di fuoriusciti per inviarle in Italia a incoraggiarvi l'opposizione. Ma Longo non credeva ancora giunto il momento per una preparazione, anche se solo propagandistica, del movimento insurrezionale in Italia e respinse il piano (xxxiii).
Tuttavia l'idea di Carlo Rosselli non era priva di valore, di fatto furono proprio i comunisti che adottarono l'uso della radio a scopo di propaganda radiofonica.

Con l'inizio della guerra civile spagnola l'antifascismo fece sentire la sua voce alla radio. Le trasmissioni di Radio Milano, emittente comunista, furono captate in Italia a partire dall'ottobre 1936. L'indicazione Radio Milano era fuorviante, in quanto si voleva far credere alle autorità fasciste che l'emittente si trovasse in territorio italiano (xxxiv).
L'ora delle trasmissioni, tra le 22,15 e le 23,00, era la più favorevole all'ascolto. Radio Milano concludeva sempre così le sue trasmissioni: "Compagni, amici, concittadini , uditori, la nostra emissione quotidiana è terminata. Compagni, amici ricordate ai vostri compagni, ai vostri amici, ai vostri vicini che tutte le sere alle ore 22,45 circa ha luogo l'emissione radiofonica del Partito Comunista d'Italia, Radio Milano, che emette su lunghezza d'onda di 28 metri. Fate conoscere a tutti gli italiani l'ora e l'onda della nostra emissione [...] Organizzate in Italia l'audizione delle nostre trasmissioni. Poichè non possiamo darvi il nostro indirizzo fateci pervenire le vostre impressioni e i vostri consigli all'indirizzo della nostra rivista: "Stato Operaio", Rue d'Alsace, 25, Paris, oppure scriveteci direttamente inviando lettere alla direzione di un partito comunista di un paese democratico. [...]"xxxv. Anche la radio di Stato di Madrid e di Valencia e la Radio Generalitat di Barcellona ospitarono la voce di esponenti dell'antifascismo.“ Le trasmissioni provenienti dalla Spagna mostravano come l’antifascismo italiano aveva rapidamente assimilato me tecniche della propaganda radiofonica di massa. Se infatti non mancavano limiti e difetti nei programmi per l’Italia, le trasmissioni spagnole nel loro insieme si rivelarono capaci di un uso efficace di quella che Vittorio Vidali definiva l’artiglieria dell’altoparlante. E non ci si riferisce tanto ai discorsi dei personaggi di maggior rilievo, quanto ai notiziari e agli appelli che avevano messo a frutto la più consumata tecnica del giornalismo radiofonico europeo. Le notizie militari erano sapientemente dosate attraverso filtri omissivi o diversivi in occasione delle sconfitte, mentre erano sfruttati con grande abilità gli effetti delle vittorie dei repubblicani” (xxxvi).

La cosa che impressionava il pubblico era la capacità di informare rapidamente sulla vita interna italiana. Ogni notizia riguardante disordini, malcontento, tensioni era ricca di particolari. Si metteva l’accento sulla sudditanza del fascismo alla Germania di Hitler, soprattutto in occasione dell’Anschluss.

La radio da mezzo di conquista del consenso da parte fascista si trasformava in uno strumento di informazione propaganda del movimento antifascista. " La guerra civile spagnola ha una grande importanza nella storia italiana. Tutta la gioventù italiana era senza contatto, prima del luglio 1936, con il mondo della democrazia progressiva.
Dobbiamo dirlo: l’antifascismo italiano risultava morto agli italiani; era tutto all’estero, emigrato, o era in prigione, era al confino, chiuso in se stesso e molti di noi non l’avevano mai conosciuto" (xxxvii). Vi erano solo voci fasciste. Dalle emittenti spagnole tutto l’antifascismo tornava a far sentire la sua voce dopo anni di silenzio.
“ E, poi, a rilanciare l’antifascismo nel paese, ci sono anche le radio ___ Radio Milano e Radio Barcellona ___ da dove giunge direttamente alle orecchie degli italiani la viva voce degli oppositori.
L’ascolto clandestino delle emittenti straniere si va intensificando e la propaganda radiofonica appare subito efficace, anche perché le notizie del fronte vengono immediatamente giudicate più credibili di quelle diffuse dal regime che informa solo sui successi dei fascisti e tace o minimizza le sconfitte.Le trasmissioni antifasciste sono, invece, ricche di particolari, parlano dei caduti, dei feriti, dei prigionieri,ne fanno nome e cognome: nelle città e nei piccoli centri c’è sempre qualcuno in grado di identificare il conoscente, l’amico, il parente, andato volontario in Spagna nello schieramento degli uni o degli altri” (xxxviii).

Con la guerra civile spagnola per la prima volta la radiofonia veniva utilizzata dalle opposizioni. Guerra che mostrò i segni della prima fase discendente del consenso italiano al regime fascista.




--- NOTE ---




i F. Monteleone, La radio Italiana nel periodo fascista, ed. Marsilio, Venezia, 1976

ii G. Salvemini, Preludio, pag. 263.

iii F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, ed. Marsilio, Venezia, 1992, pag. 99. "Nelle ore cocenti della storia il giornale radio diventa un'arma potente di difesa e di offesa e basti ricordare a questo proposito l'attività di Radio Strasburgo quando, prima dell'avvento di Hitler, i francesi s'illudevano ancora di poter inchiodare definitivamente la Germania a tutte le clausole di Versaglia, o il duello tra l'emittente di Monaco e quella di Vienna prima dei tragici fatti del luglio 1934, o di propaganda tedesca durante il plebiscito della Saar, o la reazione italiana agli attacchi dei giornalisti stranieri in tempi di sanzioni, o lo scontro delle antenne nazionali con le antenne rosse che ha esteso all'etere la guerra di Spagna, o l'affannosa rincorsa di Radio Daventry sulle piste arabe di Radio Bari, o infine l'acerba polemica recentemente riaccesesi in lingua tedesca tra le emittente alsaziana e i trasmettitori tedeschi con Stoccarda alla testa. E non si é forse concluso col più fulmineo, diretto ed ampio contributo della radio l'ultimo atto del dramma austriaco fino alla fusione di due stati in contrasto nell'unità concorde di un popolo solo."( E. Rocca, Panorama dell'arte radiofonica, Milano, 1938)

iv A. Monticone, Il fascismo al microfono, ed. Studium, Roma, I978.

v Il discorso di Mussolini venne richiesto nell’ottobre del 1930 dal sig. Scull, funzionario della Radio Victor Corporation of America, durante un suo colloquio col duce. Ottenuto l’assenso, vennero dall'Eiar effettuate prove di trasmissione da Prato Smeraldo, che risultarono ben percepibili negli Stati Uniti e quindi passibili di ritrasmissione. Così il 1° gennaio 1931 il breve discorso del duce poté essere trasmesso.

vi Prato Smeraldo, località ribattezzata con questo nome esteticamente gradevole proprio in funzione radiofonica, si trova sulla via Ardeatina a pochi chilometri da Roma. Da qui partivano le prime emissioni in onde corte con un trasmettitore dalla potenza di 12 Kw.

vii A. Papa, Storia politica della radio, 2°, ed. Guida, Napoli, 1980.

viii Un notiziario radiofonico giornaliero di propaganda per l’estero venne studiato nell’estate del 1929 ed affidato al giornalista Leo Negrelli; le trasmissioni dovevano avvenire dalla stazione di Roma S.Paolo gestita dal ministero delle comunicazioni e sotto il controllo dell’ufficio stampa del capo del governo. Erano pertanto a carattere ufficiale e non ancora inserite nel vivo dell’azione dell’Eiar.

ix A. Monticone, op. cit.

x A. Papa, op. cit. 2°vol.

Le fonti del notiziario albanese erano i telegrammi della Stefani, il materiale proveniente dalla legazione italiana a Tirana ed informazioni economiche fornite dalla Camera di commercio italo-orientale di Bari. E' chiaro il doppio legame, con la rappresentanza diplomatica e la penetrazione italiana in Albania operata dal ministero degli esteri con gli ambienti economici gravitanti intorno alla Fiera del Levante, interessati ad attività nella penisola balcanica.

xi Le trasmissioni di Radio Bari si componevano di notiziari, brani musicali e di conversazioni dirette ad esaltare i progressi dell'Italia fascista, a illustrare le realizzazioni del regime in Libia e a dare informazioni di carattere locale. Anche se non ebbe un ampio pubblico, data l'esiguità della audience dei paesi sottosviluppati, l'emittente pugliese era molto ascoltata negli ambienti politici ed economici arabi. Queste trasmissioni facevano parte di un disegno diffusivo strettamente collegato alla politica imperialistica fascista. Non a caso l'attività di Radio Bari si sviluppò intensamente durante l'intervento italiano in Etiopia (A. Papa, op.cit. 2° vol. pag. 23).

xii A. Papa, op. cit., 2° vol., pag. 24.

xiii A. Papa, op. cit., pag.14

xiv G. Isola, Abbassa la tua radio per favore...., ed. La nuova Italia, Firenze, 1990, pag. 219. Questa lagnanza del direttore del "Radiocorriere" diede origine ad uno scambio di lettere col direttore della sede romana dell'Eiar, ing.Renato Senigallia, che a titolo di scusa specificava: "il Notiziario di lingua tedesca [...] è compilato in italiano e tradotto in tedesco a cura dell'Ufficio Stampa del Ministero degli Affari Esteri".

xv Un duro giudizio sulle trasmissioni in spagnolo da Roma venne espresso da giornale socialista "El Socialista" di Madrid. Naturalmente da altro punto di vista gli stessi responsabili della propaganda italiana non erano soddisfatti e ritenevano che l'ascolto delle trasmissioni spagnole fosse fallimentare, forse a causa dell'orario ma anche della qualità delle notizie, del modo di porgerle e poi per il "me ne freghismo" degli spagnoli. Qualche miglioramento nell'ascolto si ebbe col mutare l'orario e con l'impegno dei nostri diplomatici e consoli in Spagna, ma le illusioni fasciste dei membri dell'ambasciata d'Italia a Madrid mostrano una mentalità ultra fascista poco adatta a sostenere una propaganda accorta e prudente (A. Monticone, op. cit., pag. 397).

xvi Il tipo di trasmissioni destinate agli Stati Uniti non teneva conto degli interessi del pubblico: per es. per una trasmissione speciale del 23 gennaio 1935 si chiese all'on. Razza una conversazione sulla emigrazione interna nelle province italiane, evidente prova di voler celebrare il regime senza saper fare propaganda. (A. Monticone, op. cit., pag. 397).

xvii La segreta identità di "Radio Verdad" fu conosciuta prima ancora che avessero inizio le trasmissioni, ma ciò non fermò la realizzazione del progetto (A. Papa, op. cit., pag. 75)

xviii F. Monteleone, La radio italiana nel periodo fascista, ed. Marsilio, Venezia, 1976.

xix Partito realmente esistito in Russia sul finire del XIX secolo.

xx A. Monticone, op. cit.

xxi 21 ottobre "Asse" Roma - Berlino; 22 maggio 1939 Firma del Patto 'Acciaio.

xxii Precisamente, in inglese, francese, spagnolo, portoghese, ungherese, bulgaro, greco, turco, serbo, croato, danese, svedese, tedesco, rumeno russo, arabo, indostano, bengalese, thailandese, cinese, giapponese, esperanto, e naturalmente italiano. Molti di questi servizi , tuttavia, erano rimasti sulla carta e non erano stati praticamente attuati (F, Monteleone, op. cit., pag. 154).

xxiii A. Papa, op. cit.

xxiv Dove, dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, fu "giocata" la grande partita fra le forze dell'Asse e quelle anglofrancesi.

xxv Solo a titolo informativo dobbiamo ricordare che Radio Bari dal settembre '43 agli inizi del '44 fu la prima e unica radio libera e democratica dell'Europa continentale. Vedi A. Rossano, 1943 : Qui "Radio Bari", ed. Dedalo, Bari, 1993.

xxvi F. Monteleone, op. cit. " Particolarmente ostile nei confronti dell'Inghilterra, la stazione pugliese aveva suscitato numerose reazioni negli ambienti diplomatici e parlamentari britannici. Non a caso alla emittente italiana fu opposta [....] la stazione di Daventry che faceva anch'essa trasmissioni in arabo.

xxvii F. Monteleone, op. cit., pag. 157.

xxviii G.Isola, op. cit.

xxix G.S. Piccenardi, La casa riabilitata, in "Radiocorriere", n.13, 1936, pag. 36.

xxx Il testo del telegramma del ministero é in appendice.

xxxi A. DAl Pont-S. Carolini, L'Italia al confino, ANPPIA nazionale, La Pietra, Milano, 1983.

xxxii Relazione anonima da Empoli in Archivio del Partito Comunista, f.1452 citata da G. Santomassimo, Antifascismo popolare, "Italia contemporanea", 1980, n.140, pag.53. Anche in G. Isola, op. cit. pag.227.

xxxiiiA. Garosci, Storia dei fuoriusciti, Bari, 1953.

xxxiv L'emittente trasmetteva da Aranjuez, località vicino Madrid. Il ministero per la Stampa e la Propaganda e il ministero dell'Interno iniziarono una caccia serrata all'emittente clandestina non trascurando nessuna pista, neppure la Svizzera.
xxxv ACS, Min. Int., Dir. Gen. P.S. [1920-1945], 1937, b.57, f.K1 B11.

“Attraverso la radio il PCI accrebbe la sua area di influenza: da quel momento il rapporto con l’Italia non si materializzò solo attraverso i tradizionali canali clandestini del debole apparato di partito, ma si consolidò con il flusso di lettere degli ascoltatori, solo in parte intercettato dalla polizia. E’ questa l’altra accia dell’esplosione di entusiasmo ricordata in precedenza e uno dei nodi della cosiddetta "semina comunista". (G. Isola, op. cit. pag. 234)

xxxvi A. Papa, op. cit., 2°, pag.68.

xxxvii E. Vittorini, il popolo spagnolo attende la liberazione, "Il Politecnico", 29 settembre 1945, pag.1

xxxviii S. Colarizi, L’opinione degli italiani sotto il regime. 1929-43, ed. Laterza, Roma-Bari, 1991, pag. 232.

9.8.07

Trasmissioni radiofoniche sovversive

Biglietto postale della Legione dei Carabinieri Reali di Alghero al ministero dell’Interno.

Prot.n. 180/I Alghero, 22 ottobre 1936



Oggetto: Trasmissioni radiofoniche sovversive


Alle ore 20.50 del 20 corrente, il sarto Moscatelli Giovanni, abitante in Alghero (Sassari), piazza Civica, da un comune apparecchio radio ricevente, situato nella propia abitazione, ha ascoltato una comunicazione del seguente tenore, trasmessa su lunghezza d’onda di metri 42,40, circa, corrispondente alla stazione di Alicante, ed effettuata in italiano, parlato con accento siciliano.
Il Moscatelli, che è fervente fascista, ne ha riferito spontaneamente.
" Attenzione, attenzione, trasmette una stazione clandestina di Palermo.
Antifascisti italiani, antifascisti di Bari, Trieste, Palermo e Ancona, l’ora è giunta.
Quanto prima vi sarà in Italia un movimento rivoluzionario. In Spagna sono due colonne italiane, una capeggiata da Mariotti sul fronte di Granada e l’altra capeggiata da Rosselli direttore del giornale Giustizia e Libertà, sul fronte di Nasca.
Aiutiamo il proletariato spagnolo, la vittoria di questo è la vittoria dell’antifascismo e la liberazione dell’Italia tutta dalla prepotenza del fascismo, che ci opprime da tredici anni.
Antifascisti, aiutate il proletariato spagnolo, se non potete con le vostre braccia, almeno con una giornata di lavoro, spedendo alla direzione del giornale Giustizia e Libertà, Rue Degrat 5.M.21.
I fascisti violando le leggi internazionali spediscono continuamente armi e materiali agli insorti".




[ ACP, Min. Int., Dir. Gen. P.S. (1940-1945),1936,b.18, fasc.54D.]

7.2.07

Rai International cambia nome

Dalla newsletter di Glen Hauser
** ITALY. Rai International changes name to Rai Italia

At a press conference last week, the managing director of Rai
International, Piero Badaloni, announced that Italy’s international TV
service, Rai International, is changing its name to Rai Italia, and is
adopting Rai’s butterfly logo. From March util 21 June there will be a
new schedule, with a lot of new programmes, some produced specially
for an overseas audience. After 21 June, the channel will stop using
GMT (UTC) as its time standard. From the beginning of March, there
will be a new newshour at 06, 12, 18 & 24 hrs UTC, specially produced
for Rai Italia in collaboration with the various domestic news
programmes.

6.2.07

Storia della radiofonia italiana - La radiofonia in lingua italiana


Le radio del confine orientale


Prima della fine della seconda guerra mondiale la Venezia Giulia comprendeva le province di Trieste, Gorizia (Isontino), Udine (Friuli), Pola (Istria) e Fiume (Carnaro) e la minuscola regione Dalmazia comprendeva soltanto la provincia di Zara.
Mentre il Friuli era passato al Regno d’Italia già il 3 ottobre 1866 con la Pace di Vienna, a seguito della terza guerra d’indipendenza, gli altri territori della Venezia Giulia e della Dalmazia furono assegnati all’Italia soltanto dopo la sconfitta dell’Impero d’Austria e del Regno d’Ungheria, a seguito dei Trattati di Saint—Germain con l’Austria del 10 settembre 1919 e del Trianon con l’Ungheria del 4 giugno 1920 ed anzi, limitatamente al Carnaro, soltanto dopo l’iniziativa di Gabriele d’Annunzio, che il 12 settembre 1919 aveva occupato con i suoi legionari Fiume (che precedentemente faceva parte dell’ungheria) e vi aveva istituito la Reggenza Italiana del Carnaro, e dopo le successive intese col neocostituito Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (diventato il 6 gennaio 1929 Regno di Jugoslavia), che portarono al Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 ed all’Accordo di Roma del 27 gennaio 1924.

Durante il secondo conflitto mondiale il crollo della Jugoslavia, attaccata dalla Germania nazista, indusse l’Italia fascista a commettere il colossale errore di occupare la Slovenia meridionale, una parte della Dalmazia (l’altra venne inclusa nel nuovo Stato fantoccio della Croazia) ed il Montenegro: il 3 maggio 1941 era istituita ed annessa all’Italia la nuova provincia di Lubiana
ed il 18 dello stesso mese veniva creato il governatorato della Dalmazia, comprendente, oltre a quella di Zara, le nuove province di Spalato e di Cattaro.
La firma a Cassibile (presso Siracusa), il 3 settembre 1943 (ma resa nota l’8 successivo), dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati portò alla disintegrazione delle forze armate italiane ed all occupazione tedesca non solo dei suddetti nuovi territori annessi, ma anche di quelli entro i vecchi confini; in particolare il 10 settembre 1943 le truppe germaniche occupavano Trieste e nei giorni seguenti gli altri principali centri della Venezia Giulia, ma, a differenza di quanto sarebbe avvenuto nelle altre regioni italiane (con l’eccezione della Venezia Tridentina), dove l’occupazione germanica avrebbe mantenuto soltanto un carattere militare e quindi temporaneo, il 1° ottobre successivo al comandante militare del capoluogo giuliano subentrava un funzionario civile, col titolo di supremo commissario nella zona di operazioni Litorale Adriatico, sotto il quale passava l’amministrazione delle province di Trieste, Gorizia, Udine, Pola, Fiume e Lubiana, nonché
dei territori di Sussak, Buccari, Conca Nera, Castua e Veglia.
Tale provvedimento, accanto all’analogo adottato in Alto Adige, dimostrava l’intenzione di Adolf Hitler di annettere al Reich, se la Germania avesse vinto la guerra, i territori italiani che avevano fatto parte della Monarchia Austro—ungarica degli Absburgo.
A Zara
i reparti tedeschi erano entrati l’li settebre 943. Durante il periodo dell’occupazione germanica Trieste ebbe il macabro privilegio di essere l’unica città italiana sede di un forno crematorio nazista, presso l’ex Risiera di San Sabba, che fu anche prigione di transito per gli ebrei, gli antifascisti, i partigiani e gli ostaggi di rappresaglie, destinati alla deportazione nei campi di sterminio tedeschi.

La capitolazione della Germania trovò l’Italia del tutto disarmata ed isolata di fronte alle aspirazioni della Jugoslavia di Tito (nome di battaglia di Josep Broz) di annettersi, oltre alla Dalmazia, la Venezia Giulia addirittura oltre il confine del 1866; inoltre la posizione italiana era resa ancora più difficile per il fatto che il suo Partito Comunista, guidato da Palmiro Togliatti, sosteneva apertamente tali aspirazioni.
Il 1° maggio 1945 Tito riuscì a far giungere a tappe forzate le sue truppe a Trieste un giorno prima che vi arrivassero quelle neozelandesi al comando del gen. Freyberg e, mentre queste ultime rimanevano spettatori indifferenti, il comando jugoslavo, che estendeva l’occupzione all’Istria ed al Carnaro, instaurava subito colà un regime di terrore, ispirato dall’odio contro gli italiani.
Zara veniva, invece, occupata dalle truppe jugoslave il 1° novembre 1944. Nella Venezia Giulia e nella Dalmazia occupate la politica di Tito fu subito quella di attuare una rapida snazionalizzazione forzata (oggi si parla di pulizia etnica) con ogni mezzo (sequestri di persone, deportazioni di interi gruppi, condanne illegali e senza difesa, torture ed uccisioni nelle prigioni, nei campi di concentramento e nelle foibe) e con l’incombente minaccia dell’OZNA, diventata poi l’UDBA, la terribile polizia segreta jugoslava.
La conseguenza di tale spietata politica fu, a parte i morti, l’esodo forzato di ben 350.000 istriani, fiumani e dalmati, rifugiatisi in altre regioni italiane ed all’estero per sfuggire alle persecuzioni organizzate contro di loro.

Più fortunati, invece, i triestini, per i quali questo inferno durò soltanto 43 giorni.
Infatti, in base all’Accordo di Belgrado, firmato il 9 giugno 1945 da Tito e dal gen. Morgan, capo di stato maggiore del maresciallo Alexander, comandante in capo delle forze alleate nello scacchiere del Mediterraneo, il territorio delimitato dalla cosiddetta linea Morgan (che, partendo a nord dal confine del 1920, scendeva fino a Punta Grossa, a sud di Trieste, lasciando ad occidente Plezzo, Caporetto, Gorizia, Monfalcone e Sesana) passava sotto l’occupazione provvisoria anglo—americana, mentre il rimanente territorio giuliano rimaneva sotto occupazione provvisoria jugoslava, ad eccezione della sola città di Pola, che pure passava sotto amministrazione provvisoria alleata, in attesa delle decisioni definitive che sarebbero state stabilite dalla futura Conferenza della pace.
Conseguentemente il 12 giugno 1945 una grande folla festante di triestini applaudiva il passaggio dei poteri fra le forze armate jugoslave e quelle angloamericane e l’istituzione, nel capoluogo giuliano, del GMA—Governo Militare Alleato. Ma, nonostante il cambiamento radicale del clima politico, anche l’occupazione angloamericana procurò inutili ed imperdonabili lutti e precisamente la morte di cinque inermi cittadini, uccisi dalla polizia civile, posta sotto comando britannico, il 5 ed il 6 novembre 1953, durante pacifiche manifestazioni spontanee della popolazione che invocava il ritorno dell’Italia a Trieste.

Dopo lunghe trattative, il 2 luglio 1946 le quattro Potenze (Regno Unito, Stati Uniti, Francia ed Unione Sovietica) si accordarono sul tracciato della nuova linea di confine tra l’Italia e la Jugoslavia e sull’istituzione di un piccolo Stato cuscinetto fra queste ultime, denominato TLT—Territorio Libero di Trieste, garantito dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ne avrebbe nominato il Governatore, d’intesa fra i due Paesi.
La Conferenza della pace di Parigi accolse le suddette proposte, che vennero incluse nel Trattato di pace con l’Italia, firmato il 10 febbraio 1947 ed entrato in vigore il 15 settembre successivo. Il nuovo confine italo - jugoslavo lasciava alla Repubblica Federativa di Tito una piccola parte del Friuli, quasi tutto l’Isontino, tagliando a metà la stessa città di Gorizia, la maggior parte della provincia di Trieste, buona parte dell’Istria (la rimanente, però, ancora sotto amministrazione jugoslava, avrebbe dovuto costituire la zona meridionale del TLT) e tutto il Carnaro.
In base al Trattato di pace l’Italia cedeva, inoltre, alla Jugoslavia il comune di Zara e tutte le isole del Carnaro e della Dalmazia ed alla Grecia il Dodecanneso. Il TLT era rappresentato da una fascia costiera da Duino, a nord di Trieste, a Cittanova, in Istria, comprendente Trieste, Capodistria, Pirano, Umago e la stessa Cittanova; esso era diviso dall’ultimo tratto della linea Morgan in due parti e cioè quella settentrionale, detta Zona A, provvisoriamente amministrata dal Governo Militare Alleato, e quella meridionale, detta Zona B, provvisoriamente amministrata dal Governo Militare Jugoslavo.
Sempre a seguito del Trattato di pace il 12 settembre 1947 le truppe anglo—americane si ritirarono da Pola per lasciare il posto a quelle jugoslave ed il 15 di quel mese reparti italiani entrarono a Gorizia ed a Monfalcone dopo il ritiro di quelli alleati.

Essendosi dimostrato impossibile un accordo fra l’Italia e la Jugoslavia sulla scelta del Governatore del Territorio Libero di Trieste, le tre Potenze occidentali ritennero inattuabile la realizzazione del medesimo e perciò proposero di cederne la Zona A all’Italia e la Zona B alla Jugoslavia (che già l’amministrava); soltanto dopo difficili trattative si giunse alla firma del Memorandum d’intesa,il 5 ottobre 1954 a Londra,da parte dei rappresentanti dell’Italia, della Jugoslavia, del Regno Unito e degli Stati Uniti, che sanciva la suddetta proposta. Purtroppo, però, per non turbare l’opinione pubblica e per non togliere le residue speranze ai connazionale ancora residenti nella zona B nella Zona B ed agli esuli istrlani, il governo italiano continuò a dichiarare ufficialmente provvisoria la cessione della zona stessa alla Jugoslavia, mentre quest’ultima la considerava definitiva, e soltanto con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 la sovranità jugoslava su tale zona fu riconosciuta formalmente.
Il 26 ottobre 1954 tutti i poteri militari e civili del GMA sulla Zona A passavavano al gen. De Renzi, Comandante il V Corpo d’Armata, giunto a Trieste con i primi soldati italiani, ed il giorno seguente tali poteri passavano al prefetto dr. Palamara, nominato dal Presidente della Repubblica Commissario generale del Governo per il Territorio di Trieste.
Il 4 novembre 1954 un mare di folla, traboccante d’entusiasmo per il ricongiungimento di Trieste alla Madrepatria, applaudiva il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Scelba ed il Ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani.
Con la Legge costituzionale 31 gennaio 1963 n° i veniva approvato lo Statuto speciale della Regione Friuli—Venezia Giulia, che era stata inclusa fra le regioni a statuto speciale nella Costituzione della Repubblica Italiana.


Passando ora alle stazioni radiofoniche installate nelle suddette regioni ovvero all’infuori di queste ultime ma le cui trasmissioni erano destinate alle popolazioni delle medesime, ne indico qui appresso l’elenco ordinato cronologicamente secondo le date delle rispettive entrate in esercizio.


Radio Ljubljana(Radio Lubiana), nella capitale della Slovenia, allora facente parte della Jugoslavia, inaugurata il 28 ottobre 1928 con la potenza di 2,5 kW, passata nel 1931 a 5 kW, il cui trasmettitore venne distrutto da un bombardamento tedesco l’11 aprile 1941; a seguito dell’occupazione italiana di Lubiana l’EIAR—Ente Italiano Audizioni Radiofoniche vi istituì una propria nuova sede, collegata con la rete radiofonica nazionale, tramite la sede di Trieste e, con un nuovo trasmettitore autoportato, il 3 maggio 1941 riprese l’attività dell’emittente, diffondendo programmi in italiano (alcuni dei quali ripresi dalla rete ed alcuni immessi in rete) ed in sloveno, fino all’8 settembre 1943.
Occupata dal comando militare germanico, la stazione fu rimessa in funzione il 14 seguente con la nuova denominazione di Radio delle Forze Armate Tedesche a Lubiana.


Radio Trieste, sede dell’EIAR—Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, venne inaugurata il 28 ottobre 1931 con la potenza di 10 kW, mantenne una completa autonomia fino al 10 gennaio 1932, quando fu collegata al Gruppo Nord (comprendente inizialmente le emittenti di Milano, Torino e Genova).
L’8 settembre 1943 venne occupata dapprima militarmente e poi civilmente dai tedeschi, che la denominarono Radio Litorale Adriatico; ad eccezione dei giornali radio nazionali, che furono subito sostituiti da notiziari prodotti localmente, essa mise in onda all’inizio parecchi altri programmi della rete nazionale, che poi vennero gradualmente ridotti, mentre aumentarono quelli generati localmente, cosicché la stazione divenne allora un importante centro di produzione;
inoltre essa diffuse notiziari in tedesco in collegamento con la rete germanica, cui si aggiunsero poi anche altri generi di programma, dal 5 febbraio 1944 notiziari e poi anche altre rubriche in sloveno e dal 6 marzo 1945 notiziari in russo, tutti generati localmente.
Le trasmissioni di RLA cessarono il 29 aprile 1945 ed il 5 maggio successivo esse ripresero sotto l’occupazione jugoslava, durante la quale Radio Trieste mise in onda notiziari e vari altri programmi in italiano ed in sloveno. Il 12 giugno 1945 l’emittente passò sotto il controllo del Governo Militare Alleato, che il 20 ottobre successivo istituì l’ERTT - Ente Radio Teatro Trieste per la gestione comune della stazione radiofonica e del locale teatro lirico, i quali, però, il 25 marzo 1947 furono resi fra loro indipendenti, con l’abolizione dell’ERTT e la costituzione dell’ERT - Ente Radio Trieste e dell’Ente Teatro Trieste.
La gestione angloamericana dell’emittente cessò il 26 ottobre 1954, ma il suo passaggio alla RAI - Radiotelevisione Italiana non fu né semplice né immediato.
Infatti la Convenzione in vigore fra lo Stato e la RAI (allora Radio Audizioni Italia) per la concessione a quest’ultima dei servizi di radioaudizione, televisione, telediffusione e radiofotografia circolari non aveva incluso Radio Trieste fra le stazioni di competenza dhla RAI medesima, perché allora, purtroppo, il capoluogo giuliano non apparteneva più all’Italia; inoltre l’ERT non poteva venire immediatamente soppresso (lo fu appena il 1° agosto 1957).
Perciò la gestione dell’ERT stesso continuò in regime commissariale italiano, affidata ad un commissario straordinario, nominato dal Commissario generale del Governo per il Territorio di Trieste. Il 30 giugno 1955 venne firmato un Atto aggiuntivo alla suddetta Convenzione tra lo Stato e la RAI per l’estensione al Territorio di Trieste della concessione dei servizi oggetto della Convenzione medesima; ma per accelerare il rientro di Radio Trieste in seno all’organizzazione radiofonica italiana (l’Atto aggiuntivo, infatti, sarebbe stato reso esecutivo soltanto con una legge del 14 aprile 1956), il 20 giugno 1955 era stata firmata una Convenzione fra la RAI e l’ERT per l’assegnazione alla prima della gestione provvisoria dei servizi ra— diofonici triestini a datare dal 1° luglio 1955 e così già da tale data la Radiotelevisione Italiana estese la propria giurisdizione al capoluogo giuliano.
Durante il periodo dell’occupazione angloamericana Radio Trieste svolse un’attività molto intensa, diffondendo notiziari (tutti redatti localmente sotto il controllo di personale alleato) e programmi di vari altri generi radiofonici, la maggior parte dei quali pure prodotti in sede, in italiano ed in sloveno, inizialmente alternati durante la giornata, perché irradiati dall’unico, originario trasmettitore Trieste I, ma dal 16 giugno 1946, con l’impiego di un secondo impianto trasmittente, denominato Trieste II, situato ad Udine, sostituito il 26 giugno 1947 da un altro della potenza di 2 kW, sistemato a Trieste, la stazione fu in grado di mettere in onda contemporaneamente per tutto l’arco della giornata i suoi programmi nelle due lingue.
Quotidiani erano allora i collegamenti di Trieste I con la rete nazionale e molto più rari quelli di Trieste II con Radio Lubiana, mentre entrambe diffondevano alcune rubriche della BBC-British Broadcasting Corporation e di reti americane.


Radio Zara, sede dell’EIAR—Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, iniziò l’attività a Spalato il 5 maggio 1941 (appunto come Radio Spalato), ma poco dopo fu trasferita a Zara, dove riprese il servizio il 25 giugno dello stesso anno con la potenza di 700 W, portata a 10 kW nel 1942.
Data la mancanza di un collegamento con la rete radiofonica nazionale, l’emittente, a parte la messa in onda dei notiziari nazionali ricevuti via radio, diffondeva rubriche generate localmente e registrazioni di programmi artistici di complessi dell’EIAR, delle quali era stata dotata.
Soltanto nell’ultimo periodo la stazione poté usufruire di un ponte radio di collegamento fra Ancona e Zara e trasmettere così direttamente anche programmi della rete nazionale. L’11 settembre 1943 Radio Zara venne occupata dai tedeschi e rimase inattiva fino al 13 ottobre seguente, quando riprese il suo servizio sotto controllo germanico. Il 2 novembre il suo trasmettitore fu distrutto da un bombardamento aereo alleato e l’emittente cessò definitivamente la sua attività.


Radio Pola,installata dal GMA, Governo Militare Alleato, durante il breve periodo dell’occupazione militare angloamericana del capoluogo istriano, iniziò le trasmissioni il 4 agosto 1945 e le concluse il 13 settembre 1947, due giorni prima della partenza delle forze armate alleate e della consegna della città ai militari jugoslavi.
La stazione svolse un’azione importante per informare ed intrattenere la popolazione in un momento così delicato e difficile, trasmettendo in italiano ed in croato, con notiziari ed altri programmi prodotti localmente e con alcuni collegamenti con la BBC e le reti statunitensi.


Radio Rijeka(Radio Fiume), nell’ex capoluogo del Carnaro, già jugoslava ed attualmente appartenente alla Radiotelevisione Croata, attivata il 16 settembre 1945 con una potenza irrisoria, portata ad 1,5 kW nel 1948 e successivamente limitata ad irradiare soltanto in modulazione di frequenza.
Inizialmente essa trasmetteva in croato ed in italiano notiziari ed altri programmi generati localmente ed in collegamento con Zagabria diffondeva il giornale radio della repubblica di Croazia;
gradualmente, però, le sue trasmissioni in italiano si sono sempre più ridotte.


Radio Venezia Giulia, stazione ufficialmente clandestina, ma segretamente ed indirettamente sostenuta dal Governo italiano e diretta con entusiasmo da un letterato istriano per far giungere ai connazionali dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia, che si trovavano sotto il giogo titino, una voce di speranza, di conforto e anche di puntuale ed aperta denuncia dei misfatti compiuti a loro danno dalle autorità jugoslave, esternazioni che in quel delicato periodo di estrema debolezza internazionale dell’Italia non potevano, ovviamente, essere affidate alle neutrali trasmissioni ufficiali della RAI.
L’emittente, installata a Venezia, entrò in funzione il 3 dicembre 1945 con un trasmettitore di 5 kW e cessò il servizio il 1° luglio
1949.


La Trasmissione per la Venezia Giulia della RAI, cui era stata affidata un’attività simile a quella della stazione precedente, ma di tono assai più blando e di contenuto e di durata molto minori, incominciò il 4 novembre1946, redatta a Roma presso la direzione del giornale radio ed irradiata dal trasmettitore Bari I, con un breve notiziario e con il titolo “Per gli italiani della Venezia Giulia”, mutato il 22 gennaio 1947 in “Notiziario per gli italiani della Venezia Giulia” e l’11 luglio dello stesso anno in Trasmissione per gli italiani della Venezia Giulia, perché al notiziario veniva aggiunto anche un programma artistico, e la sua messa in onda da Bari I si concluse il 23 agosto 1947. La trasmissione riprese due giorni dopo, diffusa dal trasmettitore Venezia I della potenza di 20 kW, nuovamente col titolo “Notiziario per gli italiani della Venezia Giulia”, mutato il 3 giugno 1951 in “Trasmissione per la Venezia Giulia”, quando la sua messa in onda fu affidata al nuovo trasmettitore Venezia III della potenza di 5 kW (denominato il 30 dicembre 1951 Venezia 3), ed infine il 2 maggio 1954 nell’attuale L’Ora della Venezia Giulia.
Il 9 aprile 1950 al programma venne aggiunta una rivistina satirica domenicale, allestita dalla sede RAI di Venezia, dal 15 marzo 1953 dal centro di produzione RAI di Roma e dal 7 gennaio 1962 dalla sede RAI di Trieste, cui dal 1° ottobre di quell’anno fu infine affidata anche la redazione dei notiziari e delle altre rubriche parlate, cosicché da allora Radio Trieste genera tutta la trasmissione in parola.


Radio Koper(Radio Capodistria), nell’ex Zona B del mai costituito Territorio Libero di Trieste, dove aveva sede il Governo Militare Jugoslavo di occupazione, istituita da quest’ultimo, quale antagonista di Radio Trieste, controllata dal Governo Militare Alleato, venne inaugurata il 24 maggio 1949 con la potenza di 700 W, passata a 6 kW nel 1951, a 20 kW nel 1965 ed a 100 kW nel 1972, ed inizialmente trasmise alternativamente in italiano, in sloveno ed in croato (in quest’ultima lingua le trasmissioni furono abolite nel 1955);
per consentire le emissioni contemporanee nelle due prime lingue, dal 25 maggio 1979 a ciascuna di esse fu assegnato un impianto trasmittente distinto(quello per il programma in italiano della potenza di ben 300 kW e quello per il programma sloveno della potenza di 20 kW). L’atteggiamento politico delle trasmissioni della stazione jugoslava, facente parte della Radiotelevisione Slovena, si dimostrò subito particolarmente aggressivo nei confronti dell’Italia, riportando le vicende che la riguardavano in maniera faziosa, scorretta ed ostile ed esaltando le cosiddette conquiste sociali della Jugoslavia e l’asserita fratellanza degli sloveni e dei croati con gli italiani colà residenti, fratellanza che, com’è noto, costrinse all’esodo la quasi totalità dei connazionali dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia.
Successivamente, migliorati i rapporti italo-ugoslavi, il tono delle trasmissionì di Radio Capodistria si andò attenuando gradualmente.



Radio Pula(Radio Pola), nell’ex capoluogo istriano, dipendente dalla Radio Elevisione Croata, inaugurata il 31 dicembre 1960 con una potenza di 2 kW, ma poi limitata a trasmettere soltanto in modulazione di frequenza, incominciò a diffondere soltanto in croato programmi locali, oltre a quelli repubblicani (ora nazionali) di Zagabria; dal 1968 essa mise pure in onda un programma di mezz’ora al giorno in italiano.


Radio Zadar( (Radio Zara), nell’ex capoluogo dalmato, dipendente dalla Radiotelevisione Croata, attivata il 23 ottobre 1968 con una piccola potenza, aumentata a 2 kW poco dopo, dal 1983 con diffusione estesa anche alla modulazione di frequenza, ma con la guerra con la Serbia limitata a quest’ultimo sistema, essendo stato distrutto il suo trasmettitore ad onde medie. L’emittente trasmette dall’inizio soltanto in lingua croata rubriche locali, oltre ai collegamenti con la rete già repubblicana ed ora nazionale di Zagabria.

5.12.06

La radiofonia italiana durante gli anni del fascismo -II. Radiofonia italiana


Radiofonia italiana

“Ho in mente un piano che potrebbe fare della radio uno strumento domestico, come il grammofono o il pianoforte. il ricevitore sarà progettato nella forma di una scatola radiofonica musicale adatta a ricevere diverse lunghezze d’onda che si potranno cambiare a piacimento spingendo un bottone. La scatola musicale avrà un amplificatore e un altoparlante telefonico incorporati nel suo interno. Sarà tenuta in salotto e si potrà ascoltare musica, conferenze, concerti” (1).
Con questa idea, nel 1916, David Sarnoff aveva anticipato immaginariamente un progetto commerciale capace di rivolgersi a un numero ampio di consumatori, un’innovazione tecnologica capace cioé di comunicare simultaneamente ad un numero sempre maggiore di utenti, musica, conversazione, notizie: la radio come mezzo di comunicazione di massa.
La geniale intuizione di Sarnoff, era però un’idea ancora estranea culturalmente e tecnologicamente dalla mentalità dell’epoca, legata ad un intrattenimento di massa basato sull’uso del cinema, del giornalismo popolare; l’idea di potere ricevere tra le pareti domestiche le voci del mondo esterno, non era stata ancora tradotta in organizzazione tecnica, industriale e commerciale, tanto più che l’uso commerciale della radio presupponeva lo sfondamento delle mura domestiche e l’invasione dell’intimità di ciascuno individuo. Inoltre gli obiettivi dell’industria delle comunicazioni erano la “telefonia senza fili”, poiché era questo il settore che più interessava i governi.
Agli inizi del secolo XX, per questi motivi, la radiofonia, schiacciata dall’enorme sviluppo della radiotelegrafia, fu relegata ai margini delle telecomunicazioni; inoltre essa era guardata con diffidenza poiché le si rimproverava l’eccessivo potere diffusivo che esponeva i messaggi all’ascolto più indiscriminato, indiscreto e occasionale, si preferì così accantonare la radio per poter garantire ancora la riservatezza delle trasmissioni, tendenza alla segretezza che fu accentuata con lo scoppio della prima guerra mondiale.I primi progetti di radiodiffusione furono elaborati nell’immediato dopoguerra, con il ritorno della pace si rese possibile cioè quel capovolgimento di mentalità che aprì la via del successo al broadcasting. Insieme al telefono, la radio fu una delle poche industrie a trarre enormi vantaggi dalla guerra, in tutti i paesi direttamente coinvolti nel conflitto si sviluppò come mezzo bellico, cominciando così la sua trasformazione.
Verso la fine del secondo decennio del secolo si delineano i due sistemi antitetici di radiodiffusione che saranno da allora in poi considerati i modelli classici dell’organizzazione radiofonica: il monopolio pubblico del broadcasting in Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e il sistema privato del network negli Stati Uniti d’America (2) .
La grande patria della radiodiffusione europea fu l’Inghilterra, dove nell’ottobre del 1922 si era costituita la British Broadcasting Company (B.B.C.) che dava così inizio al primo regolare servizio di radiodiffusione del continente, a cui seguì una proliferazione di emittenti a Berlino, Danimarca e Cecoslovacchia, inaugurando così un rapido processo di industrializzazione e commercializzazione. Dal 1922 al 1924 furono installati negli Stati Uniti oltre mille stazioni emittenti, gli apparecchi crebbero da centomila a novecentomila e in Germania alla fine del 1924 si registrava già oltre mezzo milione di abbonati.
Negli Stati Uniti tra il 1912 e il 1916 furono rilasciate più di ottomilacinquecento licenze di trasmissione, e l’enorme estensione territoriale, a differenza della Gran Bretagna, consentiva uno sfruttamento più ampio delle bande, senza causare dannose interferenze nell’etere.Nel 1920 a New York, David Sarnoff, ottenne finalmente il suo permesso e i finanziamenti per realizzare un modello della Radio Music Box, nacque così la WJY che il “ luglio 1921 trasmise in diretta l’incontro di pugilato Dempsey-Carpenter, che fu ascoltato da più di trecentomila persone. La grande strada dell’etere era stata tracciata(3) .
La rivoluzione radiofonica investiva i paesi più sviluppati dell’area atlantica, dove si manifestavano i primi grandi processi di massificazione della storia contemporanea. In Italia i progressi della radiodiffusione mondiale ebbero scarsa risonanza, la stampa non diede molto rilievo al nuovo fenomeno, se non come un evento futuribile e di tanto in tanto di manifestava rammarico per il ritardo nei confronti dei traguardi raggiunti dagli altri Paesi.
La prima legislazione italiana sulle comunicazioni senza fili risale al 1910, con un progetto redatto da Carlo Schanzer che assegnava l’esercizio delle radiocomunicazioni nelle sfera dei servizi pubblici e sottoponeva a regime restrittivo le concessioni a società private, da cui derivò la legge 30 giugno 1910 n° 395 ispirata a preoccupazioni militari e che considerava la radio esclusivamente come mezzo di comunicazione, ignorandone la natura fortemente innovativa. L’avvento della prima guerra mondiale troncò tutti i progetti in corso e accentuò la concezione antidiffusiva della radio, ma intanto si era creata una esigua schiera di radioamatori, certamente non paragonabile a quelli degli altri Paesi. I tentavi di alcune emittenti ebbero scarsi risultati. Come quelli di “Radio Araldo”, che iniziò, nel 1922 a Roma un rudimentale servizio di radiodiffusione, intercettato da poche decine di appassionati.
Fu in coincidenza dell’avvento del fascismo che la questione delle radiocomunicazioni tornò attuale ed il fatto che nella penisola la radio si sviluppasse per intero durante la fondazione del regime fascista rese facile a Mussolini porre questo importante mezzo di comunicazione sotto il suo pieno controllo.
Mussolini si era appena insediato alla Presidenza del Consiglio che si trovò ad affrontare la questione del ruolo della radio, quando ricevette nel novembre del ‘22 un promemoria d segreto da Filippo Bonacci, portavoce di un gruppo privato interessato a promuovere la formazione di una rete radiofonica in Italia. Il documento sottolineava che tanto il pubblico che il governo fascista avevano importanti interessi economici e politici in un rapido sviluppo della radiofonia e si ricordava tuttavia che “ l’Italia è l’unica delle grandi potenze che non abbia ancora un completo e organizzato servizio pubblico radiotelegrafico internazionale a mezzo di un grande ente, che faciliti l'espansione della rete italiana all’estero, dove, per evidenti ragioni politiche, il Regio Governo non può direttamente intervenire con servizi statali.
Da parte di società estere è stato finora ostacolata, mediante una ingiusta propaganda, la costituzione di un grande ente radiotelegrafico italiano, e ciò allo scopo di far sorgere in Italia tante piccole società dipendenti dalle maggiori società estere le quali poi fra loro sarebbero d’accordo per il controllo dei servizi radiotelegrafici italiani” (4).
La conseguenza di ciò era stata che mentre le altre potenze avevano già un sistema sviluppato di comunicazione radiofonica, l’Italia restava priva di una rete radiofonica efficiente. Per porre rimedio a questa situazione Marconi, ed un gruppo di investitori privati avevano creato una società nota come SISERT (Società Italiana Servizi Radiotelegrafici e Radiofonici), era disposto a mettere a disposizione del regime tutti suoi brevetti in cambio di una concessione governativa che gli consentisse di organizzare un sistema radiofonico di portata nazionale e mondiale. Mussolini respinse la richiesta di Marconi tanto più che in quel periodo l’inventore non godeva di molta fiducia a causa di un processo contro di lui per il fallimento della banca Italiana di Sconto di cui era presidente; il duce però decise comunque di coprirsi le spalle con un decreto che riservava allo Stato ogni futuro impianto per l’esercizio delle comunicazioni, con facoltà del governo di accordarli in concessione a società private. Nello stesso anno Marconi scrisse a Mussolini, sollecitando il regime ad intervenire nel campo della radiofonia, sottolineando al duce l’opportunità politica di porre il controllo della radio nelle mani dello Stato e il grande potenziale del nuovo mezzo di comunicazione ai fini della propaganda.
Con l’appoggio ufficioso di parecchi esponenti governativi furono elaborati progetti per la creazione della prima grande stazione radiofonica italiana; insieme con l’URI (Unione Radiofonica Italiana), Marconi contribuì ad erigere a Roma una emittente che il 6 ottobre 1924, cominciò a diffondere, con il consenso del regime, i suoi primi programmi sperimentali, i quali nonostante iniziassero con l’inno fascista “Giovinezza, consistevano principalmente di musica e la propaganda governativa ancora non vi aveva trovato posto.
Il regime concesse all’URI a partire dal dicembre ‘24 per un periodo di sei anni il monopolio delle trasmissioni su tutto il territorio nazionale; la concessione si intendeva rinnovata per un periodo di altri quattro anni, qualora nessuna delle parti l’avesse disdetta. L’URI si impegnava a garantire la regolarità delle trasmissioni per sei ore al giorno e a costruire altre stazioni a Milano e a Napoli; infine il governo si riservava due ore al giorno per le proprie comunicazioni e faceva obbligo alla società di mettere in onda, in caso di urgenza, comunicati per conto dello Stato anche nell’orario destinato alle normali trasmissioni. Superate le esitazioni iniziali il regime fece così il suo ingresso nel campo delle comunicazioni radiofoniche e cominciò a scorgere il valore potenziale della radio come veicolo di propaganda e di standardizzazione culturale.
La radio vedeva così la sua luce nella fase del processo di consolidamento autoritario del nuovo potere, proprio quando la classe dirigente fascista si poneva il problema del controllo dell’opinione pubblica per superare la crisi provocata dal delitto Matteotti (5).
Nel luglio del ‘24 il regime creò legislativamente una seri di rigidi controlli intorno al nascente broadcasting, dove le restrizioni della libertà di stampa erano destinate a ripercuotersi sulla radio che rimase a lungo tributaria dei quotidiani di informazione, e poté servirsi solo per breve tempo di una propria agenzia radiotelegrafica prima che le fosse imposta, nel 1924 la Stefani come unica fonte per i suoi notiziari.
La coincidenza della nascita del broadcasting in Italia con la fondazione dello Stato fascista fu però puramente occasionale difatti le prime trasmissioni dell’URI avevano ben poco a che fare con il nuovo clima politico, si trattava di programmi basati su brani di musica, concerti da camera, canti dialettali. Il parlato consisteva in bollettini metereologici, informazioni commerciali e imitazioni umoristiche, i notiziari erano brevissimi, ed i programmi erano prodotto in studio, senza schemi, da un’equipe improvvisata.
La concezione allora ancora prevalente considerava la radio come una meraviglia domestica, come una scatola magica a che annullava le distanze, come un giocattolo dagli effetti miracolosi. “Nei caffè il programma della sera includerà un concerto radiotelefonato; a casa, i bimbi si addormenteranno incantati da una meravigliosa fiaba che una grande scrittrice racconterà a tutti i bimbi d’Italia. Seguiranno altri portenti: il ricevitore che, attacato all’automobile, rastrellerà le vibrazioni dell’etere mentre la macchina è in casa; l’apparecchio tascabile; l'apparecchio nascosto nel cappello. Respireremo il pensiero nell’aria” (6).
Lo squallore dei programmi dell’URI non sconfortava però i primi possessori di apparecchi ricevitori: i quali erano più interessati alla qualità delle ricezioni piuttosto che ai contenuti dei programmi. L’ascolto radiofonico non è ancora quel fenomeno collettivo promosso su basi di massa dal regime fascista, l’ascolto é soprattutto un attività connessa alla conoscenza tecnica dello strumento, dell'apparecchio, intorno al quale si formano rapidamente, sulla base del modello inglese, numerose associazioni, come la RAI (Radio associazione Italiana), la FIR (Federazione Italia Radiocultori) e molte altre ancora.
La creazione di un pubblico realmente di massa esigeva che si passasse da una produzione di industriali dilettanti, che costruivano solo su ordinazione, ad un sistema che garantisse prodotti di qualità. I costi elevati e l’impossibilità di una produzione di massa frenavano il decollo di questa industria e rendevano impossibile l’acquisto, per cui una buona radio aveva un costo medio di tremila lire più la tassa di licenza, l’abbonamento, mentre il reddito medio annuo era di 3498 lire.Le vendite, dato il costo proibitivo, erano riservate ai centri urbani e ai ceti più abbienti; inoltre soprattutto nelle zone meridionali, il pregiudizio, l’analfabetismo, l’isolamento, il costume arretrato delle masse rurali e il più basso tenore di vita certamente non favorivano l’espansione del nuovo mezzo .
Intanto l’URI si impegnava a triplicare i programmi, per cui fu necessario informare gli abbonati sulle trasmissioni che sarebbero andate in onda e a tale scopo fu pubblicato a partire dal gennaio del 1925 il Radiorario, la rivista dell’URI con i programmi settimanali (7).
Durante il 1925 accanto ai concerti, prendeva posto il parlato radiofonico: argomenti di moda, viaggi, conversazioni letterarie; scarsi restavano i notiziari che riportavano qualche informazione già apparsa sui quotidiani o fornite dall’agenzia Stefani. L’evento radiofonico più importante dell’anno fu l’inaugurazione della stazione di Milano che si distinse subito per una migliore organizzazione dei programmi, per la varietà delle trasmissioni, dedicate anche ai bambini con una rubrica di giochi, fiabe e brani per l’infanzia.
La stazione milanese ebbe anche il privilegio di trasmettere per la prima volta un discorso di Mussolini che celebrava il terzo anniversario (8) della marcia su Roma e dopo qualche mese un discorso di Roberto Farinacci. La stessa stazione lombarda cominciava a dare in chiusura di trasmissioni, le prime notizie sportive: un fatto molto importante perché per la prima volta la radio anticipava la stampa nella diffusione delle notizie.
Tra la fine del ‘25 e i primi del ‘26 i programmi delle due emittenti italiane risultavano arricchiti, nonostante ciò la realtà radiofonica italiana restava modesta ed il numero degli abbonati stentava a crescere.
La diffusione regolare di notiziari si ha verso il 1929 quando fu creato, su insistenza del governo il giornale Radio, il quale con sei trasmissioni quotidiane dava conto degli avvenimenti internazionali, dei progressi del regime e delle varie attività politiche; fu praticamente il primo grosso tentativo di fornire agli italiani in modo sistematico, un informazione d’attualità controllata e mediante questo semplice espediente il regime fu in grado di introdurre la politica direttamente nelle case di tutti gli italiani. Nel 1930 Lando Ferretti, allora capo dell’Ufficio Stampa diede istruzioni all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, EIAR, (già URI) di preparare le attrezzature per la radiocronaca diretta di tutte le assemblee pubbliche all’aperto, patrocinate dal governo o dal partito, naturalmente le più importanti trasmissioni di questo tipo erano quelle da piazza Venezia quando Mussolini parlava alla folla dal balcone del suo studio.
Nel 1931 quasi il 50% dei programmi dell’EIAR aveva carattere musicale, i notiziari il 22% ed il 10% era costituito da programmi per bambini, il resto dallo sport e dalla pubblicità.Alla fine del' 31 c’erano in Italia 9 grandi stazioni radiotrasmittenti, ma nonostante la popolarità della radio fosse notevolmente aumentata, non era ancora divenuta una presenza costante nella vita quotidiana degli italiani, i quali nutrivano nei suoi confronti ancora vaghi pregiudizi. Furono alcuni esponenti del regime tra cui Arnaldo Mussolini a sottolineare quale fosse uno dei più importanti compiti nei confronti dello sviluppo della radio, la quale doveva conformarsi a rigorosi criteri di responsabilità, per cui il suo sviluppo andava seguito e controllato poichè la radio non doveva diffondere canzonette ma assolvere una funzione educativa. Il comitato superiore di controllo sulla radiodiffusione nel 1931 evidenziò due principali fattori di debolezza della radiofonia: il numero limitato di apparecchi presso i contadini e gli operai e ma necessità di sviluppare nuove tecniche per utilizzare la radio come strumento di cultura. Il comitato suggerì per superare questi ostacoli che il governo distribuisse apparecchi radio a ciascun gruppo del dopolavoro, scuola e istituti, e che inoltre la radio dovesse trasmettere un maggior volume di programmi culturali, attraverso i quali si sarebbe potuto effettuare un indottrinamento culturale e politico di massa.
Nel corso degli anni ‘30 le preoccupazioni della politica radiofonica fascista si concentrarono su questi due punti. Sotto la direzione di Costanzo Ciano il Ministero delle Comunicazioni dotò di apparecchi radio le scuole rurali, con lo scopo di raggiungere non solo gli scolari ma anche le loro famiglie; i primi mille apparecchi distribuiti venivano utilizzati a turno dalle scuole comunali e di sera erano offerti in prestito alle organizzazioni degli agricoltori. Nel giugno del ‘33 fu creato l’Ente Radio Rurale, incaricato di distribuire apparecchi radio nelle scuole elementari delle campagne. Il vero scopo della radio rurale era naturalmente quello di portare sistematicamente la propaganda fascista alle masse rurali, tradizionalmente isolate, e inoltre per quanto riguarda le scuole rurali quello di fornire agli insegnanti, attraverso la radio, uno strumento didattico per rendere più piacevoli le lezioni di storia e di educazione civica; considerato anche che molti insegnanti in passato si erano lamentati per il fatto che i ragazzi dei loro paesi non avevano mai ascoltato la voce di Mussolini e che quindi il fascismo e i suoi capi non potevano avere una presa immediata. I programmi destinati però specificamente agli ascoltatori della radio rurale erano scadenti e semplicistici, cominciavano con brani musicali, discorsi di esponenti dell’EIAR, programmi religiosi, scientifici.
Nel 1942-43 Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale, promosse esperimenti di uso didattico della radio durante le vacanze, per permettere agli studenti di studiare a casa. Nonostante questi tentativi di superare il provincialismo culturale e politico, permaneva tra i contadini una diffusa riluttanza nei confronti di un apparecchio che non faceva altro che sconvolgere il loro modello di vita, legato all’isolamento, e inoltre i programmi culturali non erano altro che un doppione di ciò che già si faceva a scuola, per cui la radio era ancora considerata come fonte occasionale di svago, per cui l’obiettivo mussoliniano della radio in ogni casa non fu raggiunto; alla fine del 1937 il totale degli abbonati all’EIAR ammontava a ottocentomila ed erano in funzione diciotto stazioni trasmittenti.
Fattore di ostacolo all’acquisto di un apparecchio rimaneva ancora l’alto costo, indubbiamente proibitivo per una famiglia operaia media. Il regime cominciò, verso il ‘33, a considerare l’idea di produrre una radio popolare, ad un prezzo bassissimo così che potesse entrare anche nelle case più modeste. Il programma della “radio popolare” fu annunciato al pubblico nell ‘aprile del 1937 con il nome di “radio balilla”, ed offriva un apparecchio in modello unico, semplice al prezzo di 430 lire, pagabili in 18 rate mensili. Il progetto della “radio balilla” si propose di dare alle classi lavoratrici delle città e della campagne la possibilità di acquistare un apparecchio radio ad un prezzo modesto ed inoltre attraverso esso , l’istruzione, la musica,e la cultura in generale avrebbero cessato di essere privilegio di pochi.
La formazione di un pubblico radiofonico fu in realtà realizzata con esiti diversi da quelli che il regime desiderava, con una contrapposizione tra l’incentivo all’ascolto di massa e una gestione autoritaria dello strumento per ciò che riguarda l’apparato produttivo. La radio sarebbe poi penetrata nei ceti operai soprattutto come hobby, addirittura con atteggiamenti di rifiuto della programmazione e dell’ascolto passivo, con una notevole attenzione alle radio di altri Paesi, che alle soglie del secondo conflitto mondiale costituirà le basi dell’ascolto clandestino.
Il processo di massificazione della radio fu dunque in Italia lento e parziale, lento perché i ceti popolari furono per molto tempo esclusi dall’ascolto e parziale perchè la tradizione dilettantistica e la pratica dell’ascolto individuale rappresentarono la vera esperienza della radio, per cui si dubita che ci sia stato un rapporto stretto tra totalitarismo fascista e massificazione degli ascoltatori.







Note

(1)Memorandun di David Sarnoff per il presidente dell’American Marconi Company, in Franco Monteleone, ‘“Storia della radio e della televisione Italiana”, ed. Marsilio, Venezia, 1992, pag.3.

(2)Antonio Papa, “Storia politica della radio in Italia”, ed. Guida , Napoli

(3)Franco Monteleone, op.cit.

(4)Franco Monteleone, op.cit.

(5)Antonio Papa, op.cit.

(6)Il <<Broadcasting >> in Italia sarà perfezionatissimo, <<La Tribuna>>, 4 ottobre 1924, anche in A. Papa, op. cit. pag.24.

(7)Alberto Monticone, “Il fascismo al microfono”, ed. Studium, Roma

(8)Il primo discorso di Mussolini alla radio è del 1924, ma a causa di un inconveniente tecnico i radioascoltari ascoltarono soltanto scariche e fischi: da qui nasceva una certa diffidenza del duce verso la radio, diffidenza vinta in seguito al discorso per le Americhe diffuso dalle stazioni a onda corta di Roma.

20.11.06

la radiofonia italiana durante gli anni del fascismo -I . Il consenso




Il "consenso"



La storia della radio in Italia, inevitabilmente si intreccia con la costruzione del "consenso" al regime fascista.
La più recente storiografia che ha affrontato il problema del radicamento del potere fascista in una società di massa, si trova sostanzialmente d’accordo nell’interpretare il “consenso” al regime come il risultato di una combinazione tra elementi coercitivi ed elementi persuasivi.

La repressione si esprime in un’opera di disintegrazione politica della società e di chiusura di qualsiasi mezzo alternativo di trasmissione di messaggi capaci di formare e diffondere opinioni non autorizzate.

Il periodo che va dal ‘22 al ‘26 è caratterizzato prevalentemente dall’uso di meccanismi coercitivi miranti alla dispersione di qualsiasi forma di opposizione organizzata e alla soppressione, con le leggi eccezionali del ‘26, del pluralismo politico e al soffocamento dell’opinione pubblica antifascista. In questo primo periodo gli strumenti di persuasione sono elementi stessi dell’apparato repressivo in quanto prevale l’uso della forza diretta sugli antifascisti e indiretta sul popolo, forza e coercizione fondamentali per il consolidamento del fascismo.

Nel periodo successivo dal ‘26 al ‘30 prosegue l’opera di scomposizione di quanto resta del mondo politico prefascista e il fascismo priva il popolo di qualsiasi libertà, mentre vengono create e potenziate tutte le organizzazioni politiche e sindacali fasciste, pilastri dell’edificio dittatoriale. In questa fase gli elementi coercitivi prevalgono ancora sugli strumenti di persuasione, vale a dire il consenso al regime è prevalentemente coatto.

Compiuta l’opera di demolizione e di compressione sociale, il regime provvede alla completa riorganizzazione delle forze sociali in forme e strutture nuove, tramite il ministero delle Corporazioni; la Carta del Lavoro sancisce la politica sociale del fascismo. Non è solo la classe lavoratrice a venire inquadrata: tra il '26 - ‘30 si ha una fascistizzazione dell’intera popolazione attraverso molteplici interventi organizzativi, con particolare cura nei confronti delle giovani generazioni. L’Opera Nazionale Balilla afferma il monopolio fascista sulla gioventù; viene introdotto nelle scuole il testo di Stato e gli insegnanti delle scuole elementari e medie vengono obbligati al giuramento; in parallelo procede la fascistizzazione delle Università con la formazione dei Gruppi Universitari Fascisti e poi anche per i docenti universitari scatta il giuramento.

“ A questo periodo, ne segue un altro che dura un decennio fino allo scoppio della seconda guerra mondiale e che ha al suo interno una cesura rappresentata dall’impresa d’Etiopia e dalla proclamazione dell’impero nel 1936, anno in cui il regime sembra raggiungere il massimo consenso compatibile con la persistente passività o tacita ostilità di settori non trascurabili della popolazione e con il massiccio apparato repressivo perfezionatosi dopo le esperienze degli anni venti attraverso il varo dei nuovi codici penali, dei due testi unici di polizia, del potenziamento e della riorganizzazione della polizia politica e di quella segreta (l’Ovra)”(1).

E’ dunque il periodo in cui si potenziano i meccanismi della persuasione per ottenere il consenso funzionale al dominio totalitario sulle masse. “Accanto all’apparato repressivo tipico dei regimi dittatoriali, per tutto il ventennio si vengono sviluppando e perfezionando tecniche moderne di organizzazione, comunicazione e informazione che assicurano al fascismo una presa sempre più forte nella società fino a racchiuderla entro un sistema monolitico, pressoché impermeabile alle influenze esterne”(2). Le nuove tecniche cui si riferisce la citazione sono particolarmente evidenti negli strumenti di informazione di massa, che durante la dittatura fascista vengono appunto potenziate e modernizzate al massimo. L’informazione radiofonica e cinematografica è tra i nuovi mezzi di comunicazioni di massa(3) più utili al regime. Inizia la diffusione regolare del giornale radio, i media intervengono così su un pubblico di cittadini disintegrati politicamente e facilmente vulnerabili dalla propaganda.

Quando nel 1943 crollò completamente l’edificio fascista, l’Italia possedeva un organizzatissimo sistema di stazioni e reti radiofoniche.

“ In realtà il potenziale valore della radio come veicolo di propaganda e di standardizzazione culturale non apparve immediatamente chiaro a Mussolini. Ma una volta riconosciute pienamente le sue implicazioni, i fascisti procedettero a sviluppare e sfruttare la radio facendone uno strumento decisivo della loro politica e del loro lavoro culturale”(4).Bisogna tener conto del fatto che proprio negli stessi anni in cui si consolidava il potere politico di Mussolini sullo Stato italiano, si sviluppava in contemporanea la radio come sistema di comunicazione(5) . Quando il fascismo salì al potere, l’Italia però non possedeva ancora una rete radiofonica di vaste dimensioni; non c’era ancora nessuna emittente che funzionasse continuatamente e la radiofonia si poteva considerare in via sperimentale.

In Italia la radio divenne un mezzo di comunicazione di massa durante gli anni ‘30(6) , anni di presunto massimo consenso raggiunto dal regime. Nel gennaio del 1928 il governo concesse all’Eiar il monopolio di tutte le trasmissioni radio nella penisola. Con il 1930 ogni grande città aveva la sua emittente e, a partire dal 1933, tutti i programmi importanti erano trasmessi sulla rete nazionale. Nel 1935 il regime cercò di rifornire di apparecchi radio anche le zone rurali per inserire i contadini nel circuito del consenso nazionale.

“ Per ampliare l’area di ascolto, che continuava ad essere limitata al ceto medio urbano delle regioni centrosettentrionali, il governo provvide a che fossero installati numerosi apparecchi, con relativi altoparlanti, in tutte le sedi delle organizzazioni del partito (a cominciare dalle case del fascio), nei dopolavori, nelle scuole, negli uffici, nelle caserme, nei principali ritrovi pubblici. Per raggiungere i ceti contadini si diede vita persino a un Ente radio rurale. Questo vasto piano di diffusione dei posti d’ascolto assicurò al regime fascista ampie possibilità di pianificazione del consenso e di mobilitazione psicologica delle masse, come risultò evidente in particolare durante la guerra d’Etiopia tra il 1935 e il 1936 e, successivamente, in occasione dell’intervento italiano nella guerra civile in Spagna e fianco delle forze franchiste. D’altra parte, per rendere permanente l’opera di persuasione e indottrinamento totalitario attraverso i canali radiofonici, venne stabilito con un decreto legge del 26-09-1935 (convertito nella legge 9-01-1936) che il controllo sui programmi dell’Eiar fosse di competenza del ministero di stampa e propaganda”(7).

Il passaggio dell’informazione radiofonica sotto il diretto controllo del ministero per la stampa e la propaganda fu dovuto a due avvenimenti esterni: l’ascesa del nazionalsocialismo in Germania, e la guerra di Etiopia, che mobilitò l’intero sistema della propaganda fascista(8).

<<Rispetto alle due precedenti imprese coloniali italiane la guerra d’Etiopia poté vantare una preparazione politica, militare e psicologica assai più accurata, nella quale l’organizzazione del consenso diveniva un problema essenziale e investiva in primo luogo, oltre che le classi dominanti nella loro totalità, le stesse masse popolari>>(9).

In questa fase il ruolo dell’informazione radiofonica veniva rivalutato. Solo la radio era capace di diffondere con immediatezza il messaggio politico e la ricezione simultanea di esso sull’intero territorio nazionale.

Con il trasferimento dei programmi radiofonici sotto il diretto controllo del ministero per la stampa e la propaganda, la radio diveniva parte integrante dell’organizzazione fascista del consenso. A dirigere questo ministero fu chiamato Galeazzo Ciano (10).

Ciano, già dal 1933, quale capo dell’ufficio stampa, aveva fatto svolgere alcuni studi sui problemi della radio e del cinema e propose a Mussolini di creare una divisione speciale per i due settori; era favorevole a che l’ufficio stampa assumesse il controllo diretto delle radiodiffusioni (11).

Con la guerra d’Etiopia, il regime, mette a punto la propaganda bellica, tanto che l’entrata, nel 1940, in guerra dell’Italia non colse impreparata l’EIAR.

Obiettivo principale del regime fascista fu il controllo della vita culturale italiana; strumento politico amministrativo di tale obiettivo fu il Ministero della Cultura Popolare, che concentrò la sua attenzione sul rapporto tra cultura e masse, producendo attraverso i tre mezzi di comunicazione basilare: stampa, radio, cinema una profonda convergenza tra cultura e propaganda.

Questo obiettivo era alla base di un altro postulato intrinseco del regime, ossia l’integrazione totale di tutti i cittadini in un’unica esperienza nazionale ed il fascismo in quanto sistema totalitario fondo il proprio successo sulla capacità di organizzare un controllo sociale sistematico sia a livello individuale che di gruppo.

Complementare al problema dell’integrazione culturale fu il tentativo di creare una cultura di massa, cercando di porre fine al monopolio culturale delineato dalla tradizionale base di classe medio-superiore. Il regime aspirava a portare la cultura tra le classi diseredata, operai, contadini stimolando l’entusiasmo popolare per la lettura, per il teatro introducendo, elemento fondamentale per la costruzione del consenso, la radio e il cinema nelle campagne.

“ La massa per me non è altro che un gregge di pecore finché non è organizzata. Non le sono affatto ostile. Soltanto nego che possa governarsi da sola. Ma se la si conduce bisogna reggerla con due redini: entusiasmo e interesse" (12). Fondamentale fu quindi per tale obiettivo la geniale intuizione mussoliniana di creare un sottosegretariato per la stampa e la propaganda, successivamente il ministero per la cultura popolare, pilastri della fabbrica del mito mussoliniano, alla cui costruzione si interessò lo stesso Mussolini mettendo alla “testa dei principali mezzi di comunicazione uomini capaci di coltivare e far crescere un culto del duce acritico e martellante” (13).

Ciò di cui soprattutto i fascisti accusavano lo Stato liberale era la mancata nazionalizzazione delle masse, causa questa della indisciplina dei lavoratori italiani e del disordine della politica, lo scopo principale della rivoluzione nazionale era proprio quello di fare aderire le masse allo Stato nazionale.

All’inizio degli anni venti il significato della “nazionalizzazione delle masse” fu interpretato come l’autorizzazione da parte delle squadre delle camice nere a far rigare i lavoratori con le botte; bisogna poi tenere conto che fino alla metà degli anni venti, i mezzi di comunicazione di massa erano troppo poco sviluppati perchè il regime potesse sfruttarli pienamente per inculcare i principi e i valori del fascismo disciplina, obbedienza e lotta: credere, obbedire e combattere. Mancavano inoltre istituzioni sociali periferiche ed intermedie che avrebbero potuto essere convertite per lo scopo; tale carenza fu l’eredità dello Stato liberale capitalista che non era riuscito a formare gente capace di scrivere e di leggere, elementi fondamentali per il sostegno della cultura civile. Motivo per cui l’organizzazione diviene l’elemento principale del regime per costruire il consenso: organizzare una base istituzionale capace di garantire il controllo culturale, organizzare per convincere i riluttanti e scuotere gli apatici, organizzare per ridurre i conflitti di classe, organizzare la vita sociale attraverso tutta una gamma di attività sociali, dallo sport ai metodi di allevare i bambini.

L’organizzazione in senso lato delle masse fu in sostanza una necessità imposta al duce per fronteggiare una resistenza popolare ancora molto forte, condizionata anche dalla grande industria che pretendeva “il principio nettamente fascista della gerarchia e della disciplina in tutti i rapporti economici e sociali” (14).

I fascisti cominciarono a pensare ai problemi culturali in maniera concreta, in seguito alla crisi politica determinata dall’assassinio, da parte dei fascisti stessi, del deputato socialista Giacomo Matteotti. In seguito a tale evento i partiti di opposizione accusarono Mussolini e i suoi seguaci di essere direttamente responsabili del delitto, chiedendo le dimissioni del governo fascista; sentendosi così minacciato Mussolini annunciò in un discorso alla Camera la creazione della dittatura fascista e la soppressione di ogni libertà. L’omicidio Matteotti segna così la fine dello Stato liberale e l’inizio del consolidamento del regime fascista.

In realtà vi era stata da parte di Mussolini una sorta di mossa preventiva per affrontare l’opposizione; difatti nel ‘23 aveva fatto approvare una serie di decreti miranti ad assicurare al governo il controllo sui quotidiani e sui periodici, essendo Mussolini giornalista conosceva benissimo l’uso in positivo ed in negativo della stampa, e della sua capacità di influenzare l’opinione pubblica. Queste esperienze furono utili nel controllare le crisi politiche più acute; difatti durante la crisi Matteotti il Ministro dell’Interno utilizzò ampiamente i decreti per il sequestro della stampa d’opposizione. Bastava l’ufficio stampa mussoliniano a fungere da agenzia stampa, con compiti di controllo della stampa italiana ed estera. Fu dunque la drammaticità della crisi Matteotti ad evidenziare agli ambienti fascisti l'importanza del problema del controllo della cultura.

Le mosse successive del regime furono suggerite dalla necessità di controllare gli intellettuali, di eliminare il dissenso e di ottenere l’adesione dell’intellighenzia favorevole al regime, la quale nel congresso degli intellettuali fascisti, svoltosi a Bologna nel 1925, sostenne che in Italia nessuna cultura potesse esistere fuori del fascismo. In seguito al contro manifesto crociano in difesa della dottrina liberale e che riteneva “ il fascismo un incoerente e bizzarro miscuglio di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle sue premesse”(15), Mussolini prese atto della necessità di porre ad un attento controllo la cultura nazionale attraverso la creazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura, sotto la presidenza di Giovanni Gentile. L’istituzione basata sulla filosofia gentiliana e mirante alla formazione di un’organica coscienza nazionale e alla creazione del nuovo italiano fu il primo programma sistematico di propaganda di massa avviato dal governo fascista. Le attività dell’istituto consistevano in conferenze, convegni, concerti, visite a musei, corsi di lingue, programmi didattici e attività di partito.

Successivamente fu creata la Reale Accademia d’Italia, l’istituzione culturale più famosa del fascismo, verso la quale Mussolini diede istruzioni alle comunicazioni di massa di avere il massimo rispetto e deferenza. In realtà questa seconda istituzione culturale servì ad imporre l’autorità fascista sull’alta cultura, difatti successivamente l’Accademia concentrò le sue energie quasi esclusivamente alla propaganda culturale e politica.

Contemporaneamente alle creazioni dell’Istituto e dell’Accademia, cominciò la fascistizzazione degli enti culturali pre fascisti, la Scala di Milano e l’Accademia di Santa Cecilia, la Dante Alighieri, la Lega Morale Italiana, l’Istituto per la storia del Risorgimento ed altre istituzioni culturali minori, furono poste sotto il controllo dello Stato e trasformate in strumenti della propaganda fascista.
nel campo delle comunicazioni di massa, il governo istituì verso la metà del 1924 l’Unione Radiofonica Italiana e l’Unione Cinematografica; attraverso il Consiglio Nazionale delle Ricerche si effettuò un accurato controllo della ricerca scientifica e tecnologica italiana, verso gli anni trenta tale organo ebbe un ruolo importante nello sviluppo tecnologico della radio.

Il passo successivo per un controllo minuzioso della vita culturale fu l’organizzazione Sindacale degli intellettuali, raccolti in una confederazione nazionale dei sindacati fascisti dei professionisti e degli artisti e la Confederazione dello Spettacolo, basati sulla teoria sindacale che , gli intellettuali, andavano considerati come dipendenti dello Stato in quanto lo stato dava loro il lavoro, per cui lo scopo dei sindacati non fu quello di salvaguardare gli interessi delle categorie ma quello di guidare le loro attività professionali. In concreto i sindacati non avevano nessuna autonomia, ma erano strumenti nelle mani del regime e chiunque volesse esercitare una professione doveva obbligatoriamente iscriversi all’albo del sindacato, con requisiti specifici quali la tessera fascista e la prova di una condotta non contraria all’interesse nazionale; era cioé un metodo per eliminare gli elementi antifascisti da qualsiasi ambito della vita culturale. Il regime ricattò con l’arma del bisogno economico e del diritto al lavoro una classe intellettuale rendendola dipendente dello Stato, la quale dovette adattarsi alle esigenze culturali del fascismo.

Contemporaneamente l’azione di condizionamento sociale e di consolidamento fascista proseguì attraverso una serie di programmi miranti al controllo dei gruppi giovanili al fine di educare la gioventù italiana agli ideali e alle norme fasciste.

Il controllo dei gruppi giovanili fu assunto da un giovane dirigente del partito con l’Opera Nazionale Balilla, Gruppi Universitari Fascisti, e i Fasci Giovanili di Combattimento la cui funzione fu quella di ottenere un’educazione morale, spirituale e guerriera. L’iniziativa più marcatamente fascista di nazionalizzazione della gioventù fu la militarizzazione e successivamente fu introdotto nei fasci giovanili l’obbligo delle istruzioni premilitari, con il risultato che i plotoni dei Giovani fascisti assomigliavano più o meno alle bande dei defunti squadristi. Lo stesso Mussolini fu cauto su questo tipo di addestramento e i giovani se pur accettavano il servizio di leva, non accettavano invece le ore settimanali di addestramento premilitare.

Se però il regime fascista non riuscì completamente nell’intento di rendere la gioventù italiana più militarizzata, riuscì ad indirizzarne buona parte allo sport, attraverso il patrocinio di attività sportive, basato sull'idea che produrre campioni sarebbe stato essenziale per il prestigio della nazione, per cui il fascismo sfrutto lo sport a fini totalitari e non patriottico, considerandolo come un mezzo efficiente per legare i giovani agli ordinamenti e al costume, e fornire sollievo e distrazione ai lavoratori. La maggior parte dei fascisti considerava l’atletica non solo come un mezzo di sviluppo fisico e morale della gioventù, ma soprattutto come uno stile di vita consono allo spirito militaristico fascista.

In riferimento al problema del consenso, necessario introdurre una categoria molto più confacente ai metodi del fascismo: coercizione, intesa nel senso di estrinsecazione dell’apparato repressivo dello Stato e del regime, dei mezzi di comunicazione di massa, della repressione culturale del dissenso. Trovandosi in una condizione di monopolio politico caratterizzato da un regime a partito unico, necessariamente si deve considerare la coercizione come l'elemento decisivo per potere esercitare un dominio su masse altrimenti indifferenti o addirittura ostili.

La prima fase della conquista del potere politico costituzionale (1919-1930), difatti si basò sulla distruzione dello Stato liberale e delle sue più importanti istituzioni, con la soppressione degli strumenti e degli istituti di formazione dell’opinione pubblica ___ partiti, sindacati, stampa, associazioni ___ , sostituiti da un sistema di potere che ha il suo centro nell’apparato repressivo e burocratico dello Stato, riorganizzato a difesa del regime. A completamento vi é la macchina della propaganda, del proselitismo, delle organizzazioni tese a seguire i cittadini per tutta la loro vita.










Note


(1) Nicola Tranfaglia, “Labirinto Italiano. Il fascismo, l’antifascismo, gli storici”, ed. La Nuova Italia, Firenze, 1989, pag. 98


(2) Simona Colarizi,“ L’opinione degli italiani sotto il regime.1929-43 ”, ed. Laterza, Roma-Bari, 1991, pag. 3.

“Tra i sistemi di formazione e attivazione del consenso messi in atto dal regime a livello di massa nella nuova prospettiva in cui all’inizio degli anni trenta si andava ormai collocando il fascismo mussoliniano,oltre a quelli più propriamente specifici come la scuola, le organizzazioni di massa, i sindacati, il partito, particolarmente importanti, sul terreno della propaganda, furono attuati attraverso la stampa e la radio: nel disegno di fascistizzazione della società italiana la politica dell’educazione nazionale e della cultura di massa avevano cominciato ad assumere un ruolo rilevante.
Franco Monteleone,”La radio italiana nel periodo fascista”,Marsilio, Venezia, 1976.


(3) “ Due forze allo stato nascente - due “giovinezze”, potremmo dire - si manifestano nell’Italia degli anni ‘20; e, incontrandosi in quel loro stadio iniziale, si giovano e si nuocciono vicendevolmente: sono il fascista e la radio.” Mario Isnenghi , “Una radio in ogni villaggio”, in AA.VV. “ La Radio, storia di sessant’anni. 1924/ 1984”, ed. ERI, Torino, 1984, pag 71.


(4)Ph.V. Cannistraro, “La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media”, ed. Laterza, Roma-Bari, 1975, pag. 225.
“ Mussolini, che all’inizio non aveva dimostrato molto interesse alla radio, s’era reso conto col tempo, anche per la vasta risonanza che alcune trasmissioni radiofoniche avevano suscitato in altri Paesi, dell’importanza che il nuovo mezzo di comunicazione avrebbe potuto rivestire per l’azione propagandistica del regime”. Valerio Castronovo , “ Il modello industriale”, in AA.VV. “La radio, storia di sessant’anni 1924/ 1984”, ed. ERI, Torino, 1984, pag 76.


(5)“La radio vedeva la luce nel pieno del processo di radicalizzazione autoritaria del nuovo potere, quando la classe dirigente fascista si poneva in termini drammatici il problema del controllo dell’opinione pubblica per superare la crisi di credibilità provocata dal delitto Matteotti.” Antonio Papa, “ Storia politica della radio in Italia”, ed. Guida, Napoli, 1978, Vol. I, pag. 22


(6) Edward Tannenbaum, “L’esperienza fascista”,ed. Mursia, Milano, 1974


(7)Valerio Castronovo , “Il modello industriale”, in AA.VV., “La radio, storia di sessant’anni 1924/1984”, ed. ERI, Torino 1984, pag. 76.


(8)Franco Monteleone, “La radio italiana nel periodo fascista”, ed. Marsilio, Venezia 1976.
L’ascesa del nazionalsocialismo era vista come un concorrente competitivo, dotato di efficienti strumenti per la manipolazione del consenso, tanto che: ” E’ venuto ormai il tempo di centralizzare questi servizi - affermava un promemoria - anche perché sotto la pressione della propaganda nazionalsocialista che dimostra di essere già un’organizazione senza economia e abbastanza abile, noi dobbiamo difendere le nostre posizioni per evitare il crearsi di formidabili equivoci e soprattutto per impedire che le caratteristiche del pensiero e dell’azione Mussoliniane possano essere contrabbandate sotto l’etichetta NAZI”( ACS Ministero della Cultura Popolare, 1933,busta 155, fasc. 10, <<Ufficio Stampa>>; anche in F.Monteleone,op. cit. pag. 88)


(9) E. Ragionieri, “La storia politica e sociale”, in Storia d’Italia, Vol. IV, Dall’Unità a oggi, tomo III, Einaudi, Torino, p. 2243.


(10)Antonio Papa, “Storia politica della radio in Italia”, ed. Guida, Napoli, 2°Vol., 1978


(11)“Ciano inaugurò la prassi di sottopporre a Mussolini le autorizzazioni richieste dalla direzione dell’EIAR in merito a programmi importanti, come per esempio le Cronache del regime, che vennero messe in onda nel 1934”, in F. Monteleone, op. cit. , pag. 89.


(12)Nicola Tranfaglia, op.cit.


(13)Nicola Tranfaglia, op.cit. pag. 55


(14)Victoria De Grazia, “Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del Dopolavoro”, Bari, Laterza, 1981, pag.9


(15)Ph.V. Cannistraro, “La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media”, Laterza, Roma-Bari, 1975, pag. 21.