5.12.06

La radiofonia italiana durante gli anni del fascismo -II. Radiofonia italiana


Radiofonia italiana

“Ho in mente un piano che potrebbe fare della radio uno strumento domestico, come il grammofono o il pianoforte. il ricevitore sarà progettato nella forma di una scatola radiofonica musicale adatta a ricevere diverse lunghezze d’onda che si potranno cambiare a piacimento spingendo un bottone. La scatola musicale avrà un amplificatore e un altoparlante telefonico incorporati nel suo interno. Sarà tenuta in salotto e si potrà ascoltare musica, conferenze, concerti” (1).
Con questa idea, nel 1916, David Sarnoff aveva anticipato immaginariamente un progetto commerciale capace di rivolgersi a un numero ampio di consumatori, un’innovazione tecnologica capace cioé di comunicare simultaneamente ad un numero sempre maggiore di utenti, musica, conversazione, notizie: la radio come mezzo di comunicazione di massa.
La geniale intuizione di Sarnoff, era però un’idea ancora estranea culturalmente e tecnologicamente dalla mentalità dell’epoca, legata ad un intrattenimento di massa basato sull’uso del cinema, del giornalismo popolare; l’idea di potere ricevere tra le pareti domestiche le voci del mondo esterno, non era stata ancora tradotta in organizzazione tecnica, industriale e commerciale, tanto più che l’uso commerciale della radio presupponeva lo sfondamento delle mura domestiche e l’invasione dell’intimità di ciascuno individuo. Inoltre gli obiettivi dell’industria delle comunicazioni erano la “telefonia senza fili”, poiché era questo il settore che più interessava i governi.
Agli inizi del secolo XX, per questi motivi, la radiofonia, schiacciata dall’enorme sviluppo della radiotelegrafia, fu relegata ai margini delle telecomunicazioni; inoltre essa era guardata con diffidenza poiché le si rimproverava l’eccessivo potere diffusivo che esponeva i messaggi all’ascolto più indiscriminato, indiscreto e occasionale, si preferì così accantonare la radio per poter garantire ancora la riservatezza delle trasmissioni, tendenza alla segretezza che fu accentuata con lo scoppio della prima guerra mondiale.I primi progetti di radiodiffusione furono elaborati nell’immediato dopoguerra, con il ritorno della pace si rese possibile cioè quel capovolgimento di mentalità che aprì la via del successo al broadcasting. Insieme al telefono, la radio fu una delle poche industrie a trarre enormi vantaggi dalla guerra, in tutti i paesi direttamente coinvolti nel conflitto si sviluppò come mezzo bellico, cominciando così la sua trasformazione.
Verso la fine del secondo decennio del secolo si delineano i due sistemi antitetici di radiodiffusione che saranno da allora in poi considerati i modelli classici dell’organizzazione radiofonica: il monopolio pubblico del broadcasting in Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e il sistema privato del network negli Stati Uniti d’America (2) .
La grande patria della radiodiffusione europea fu l’Inghilterra, dove nell’ottobre del 1922 si era costituita la British Broadcasting Company (B.B.C.) che dava così inizio al primo regolare servizio di radiodiffusione del continente, a cui seguì una proliferazione di emittenti a Berlino, Danimarca e Cecoslovacchia, inaugurando così un rapido processo di industrializzazione e commercializzazione. Dal 1922 al 1924 furono installati negli Stati Uniti oltre mille stazioni emittenti, gli apparecchi crebbero da centomila a novecentomila e in Germania alla fine del 1924 si registrava già oltre mezzo milione di abbonati.
Negli Stati Uniti tra il 1912 e il 1916 furono rilasciate più di ottomilacinquecento licenze di trasmissione, e l’enorme estensione territoriale, a differenza della Gran Bretagna, consentiva uno sfruttamento più ampio delle bande, senza causare dannose interferenze nell’etere.Nel 1920 a New York, David Sarnoff, ottenne finalmente il suo permesso e i finanziamenti per realizzare un modello della Radio Music Box, nacque così la WJY che il “ luglio 1921 trasmise in diretta l’incontro di pugilato Dempsey-Carpenter, che fu ascoltato da più di trecentomila persone. La grande strada dell’etere era stata tracciata(3) .
La rivoluzione radiofonica investiva i paesi più sviluppati dell’area atlantica, dove si manifestavano i primi grandi processi di massificazione della storia contemporanea. In Italia i progressi della radiodiffusione mondiale ebbero scarsa risonanza, la stampa non diede molto rilievo al nuovo fenomeno, se non come un evento futuribile e di tanto in tanto di manifestava rammarico per il ritardo nei confronti dei traguardi raggiunti dagli altri Paesi.
La prima legislazione italiana sulle comunicazioni senza fili risale al 1910, con un progetto redatto da Carlo Schanzer che assegnava l’esercizio delle radiocomunicazioni nelle sfera dei servizi pubblici e sottoponeva a regime restrittivo le concessioni a società private, da cui derivò la legge 30 giugno 1910 n° 395 ispirata a preoccupazioni militari e che considerava la radio esclusivamente come mezzo di comunicazione, ignorandone la natura fortemente innovativa. L’avvento della prima guerra mondiale troncò tutti i progetti in corso e accentuò la concezione antidiffusiva della radio, ma intanto si era creata una esigua schiera di radioamatori, certamente non paragonabile a quelli degli altri Paesi. I tentavi di alcune emittenti ebbero scarsi risultati. Come quelli di “Radio Araldo”, che iniziò, nel 1922 a Roma un rudimentale servizio di radiodiffusione, intercettato da poche decine di appassionati.
Fu in coincidenza dell’avvento del fascismo che la questione delle radiocomunicazioni tornò attuale ed il fatto che nella penisola la radio si sviluppasse per intero durante la fondazione del regime fascista rese facile a Mussolini porre questo importante mezzo di comunicazione sotto il suo pieno controllo.
Mussolini si era appena insediato alla Presidenza del Consiglio che si trovò ad affrontare la questione del ruolo della radio, quando ricevette nel novembre del ‘22 un promemoria d segreto da Filippo Bonacci, portavoce di un gruppo privato interessato a promuovere la formazione di una rete radiofonica in Italia. Il documento sottolineava che tanto il pubblico che il governo fascista avevano importanti interessi economici e politici in un rapido sviluppo della radiofonia e si ricordava tuttavia che “ l’Italia è l’unica delle grandi potenze che non abbia ancora un completo e organizzato servizio pubblico radiotelegrafico internazionale a mezzo di un grande ente, che faciliti l'espansione della rete italiana all’estero, dove, per evidenti ragioni politiche, il Regio Governo non può direttamente intervenire con servizi statali.
Da parte di società estere è stato finora ostacolata, mediante una ingiusta propaganda, la costituzione di un grande ente radiotelegrafico italiano, e ciò allo scopo di far sorgere in Italia tante piccole società dipendenti dalle maggiori società estere le quali poi fra loro sarebbero d’accordo per il controllo dei servizi radiotelegrafici italiani” (4).
La conseguenza di ciò era stata che mentre le altre potenze avevano già un sistema sviluppato di comunicazione radiofonica, l’Italia restava priva di una rete radiofonica efficiente. Per porre rimedio a questa situazione Marconi, ed un gruppo di investitori privati avevano creato una società nota come SISERT (Società Italiana Servizi Radiotelegrafici e Radiofonici), era disposto a mettere a disposizione del regime tutti suoi brevetti in cambio di una concessione governativa che gli consentisse di organizzare un sistema radiofonico di portata nazionale e mondiale. Mussolini respinse la richiesta di Marconi tanto più che in quel periodo l’inventore non godeva di molta fiducia a causa di un processo contro di lui per il fallimento della banca Italiana di Sconto di cui era presidente; il duce però decise comunque di coprirsi le spalle con un decreto che riservava allo Stato ogni futuro impianto per l’esercizio delle comunicazioni, con facoltà del governo di accordarli in concessione a società private. Nello stesso anno Marconi scrisse a Mussolini, sollecitando il regime ad intervenire nel campo della radiofonia, sottolineando al duce l’opportunità politica di porre il controllo della radio nelle mani dello Stato e il grande potenziale del nuovo mezzo di comunicazione ai fini della propaganda.
Con l’appoggio ufficioso di parecchi esponenti governativi furono elaborati progetti per la creazione della prima grande stazione radiofonica italiana; insieme con l’URI (Unione Radiofonica Italiana), Marconi contribuì ad erigere a Roma una emittente che il 6 ottobre 1924, cominciò a diffondere, con il consenso del regime, i suoi primi programmi sperimentali, i quali nonostante iniziassero con l’inno fascista “Giovinezza, consistevano principalmente di musica e la propaganda governativa ancora non vi aveva trovato posto.
Il regime concesse all’URI a partire dal dicembre ‘24 per un periodo di sei anni il monopolio delle trasmissioni su tutto il territorio nazionale; la concessione si intendeva rinnovata per un periodo di altri quattro anni, qualora nessuna delle parti l’avesse disdetta. L’URI si impegnava a garantire la regolarità delle trasmissioni per sei ore al giorno e a costruire altre stazioni a Milano e a Napoli; infine il governo si riservava due ore al giorno per le proprie comunicazioni e faceva obbligo alla società di mettere in onda, in caso di urgenza, comunicati per conto dello Stato anche nell’orario destinato alle normali trasmissioni. Superate le esitazioni iniziali il regime fece così il suo ingresso nel campo delle comunicazioni radiofoniche e cominciò a scorgere il valore potenziale della radio come veicolo di propaganda e di standardizzazione culturale.
La radio vedeva così la sua luce nella fase del processo di consolidamento autoritario del nuovo potere, proprio quando la classe dirigente fascista si poneva il problema del controllo dell’opinione pubblica per superare la crisi provocata dal delitto Matteotti (5).
Nel luglio del ‘24 il regime creò legislativamente una seri di rigidi controlli intorno al nascente broadcasting, dove le restrizioni della libertà di stampa erano destinate a ripercuotersi sulla radio che rimase a lungo tributaria dei quotidiani di informazione, e poté servirsi solo per breve tempo di una propria agenzia radiotelegrafica prima che le fosse imposta, nel 1924 la Stefani come unica fonte per i suoi notiziari.
La coincidenza della nascita del broadcasting in Italia con la fondazione dello Stato fascista fu però puramente occasionale difatti le prime trasmissioni dell’URI avevano ben poco a che fare con il nuovo clima politico, si trattava di programmi basati su brani di musica, concerti da camera, canti dialettali. Il parlato consisteva in bollettini metereologici, informazioni commerciali e imitazioni umoristiche, i notiziari erano brevissimi, ed i programmi erano prodotto in studio, senza schemi, da un’equipe improvvisata.
La concezione allora ancora prevalente considerava la radio come una meraviglia domestica, come una scatola magica a che annullava le distanze, come un giocattolo dagli effetti miracolosi. “Nei caffè il programma della sera includerà un concerto radiotelefonato; a casa, i bimbi si addormenteranno incantati da una meravigliosa fiaba che una grande scrittrice racconterà a tutti i bimbi d’Italia. Seguiranno altri portenti: il ricevitore che, attacato all’automobile, rastrellerà le vibrazioni dell’etere mentre la macchina è in casa; l’apparecchio tascabile; l'apparecchio nascosto nel cappello. Respireremo il pensiero nell’aria” (6).
Lo squallore dei programmi dell’URI non sconfortava però i primi possessori di apparecchi ricevitori: i quali erano più interessati alla qualità delle ricezioni piuttosto che ai contenuti dei programmi. L’ascolto radiofonico non è ancora quel fenomeno collettivo promosso su basi di massa dal regime fascista, l’ascolto é soprattutto un attività connessa alla conoscenza tecnica dello strumento, dell'apparecchio, intorno al quale si formano rapidamente, sulla base del modello inglese, numerose associazioni, come la RAI (Radio associazione Italiana), la FIR (Federazione Italia Radiocultori) e molte altre ancora.
La creazione di un pubblico realmente di massa esigeva che si passasse da una produzione di industriali dilettanti, che costruivano solo su ordinazione, ad un sistema che garantisse prodotti di qualità. I costi elevati e l’impossibilità di una produzione di massa frenavano il decollo di questa industria e rendevano impossibile l’acquisto, per cui una buona radio aveva un costo medio di tremila lire più la tassa di licenza, l’abbonamento, mentre il reddito medio annuo era di 3498 lire.Le vendite, dato il costo proibitivo, erano riservate ai centri urbani e ai ceti più abbienti; inoltre soprattutto nelle zone meridionali, il pregiudizio, l’analfabetismo, l’isolamento, il costume arretrato delle masse rurali e il più basso tenore di vita certamente non favorivano l’espansione del nuovo mezzo .
Intanto l’URI si impegnava a triplicare i programmi, per cui fu necessario informare gli abbonati sulle trasmissioni che sarebbero andate in onda e a tale scopo fu pubblicato a partire dal gennaio del 1925 il Radiorario, la rivista dell’URI con i programmi settimanali (7).
Durante il 1925 accanto ai concerti, prendeva posto il parlato radiofonico: argomenti di moda, viaggi, conversazioni letterarie; scarsi restavano i notiziari che riportavano qualche informazione già apparsa sui quotidiani o fornite dall’agenzia Stefani. L’evento radiofonico più importante dell’anno fu l’inaugurazione della stazione di Milano che si distinse subito per una migliore organizzazione dei programmi, per la varietà delle trasmissioni, dedicate anche ai bambini con una rubrica di giochi, fiabe e brani per l’infanzia.
La stazione milanese ebbe anche il privilegio di trasmettere per la prima volta un discorso di Mussolini che celebrava il terzo anniversario (8) della marcia su Roma e dopo qualche mese un discorso di Roberto Farinacci. La stessa stazione lombarda cominciava a dare in chiusura di trasmissioni, le prime notizie sportive: un fatto molto importante perché per la prima volta la radio anticipava la stampa nella diffusione delle notizie.
Tra la fine del ‘25 e i primi del ‘26 i programmi delle due emittenti italiane risultavano arricchiti, nonostante ciò la realtà radiofonica italiana restava modesta ed il numero degli abbonati stentava a crescere.
La diffusione regolare di notiziari si ha verso il 1929 quando fu creato, su insistenza del governo il giornale Radio, il quale con sei trasmissioni quotidiane dava conto degli avvenimenti internazionali, dei progressi del regime e delle varie attività politiche; fu praticamente il primo grosso tentativo di fornire agli italiani in modo sistematico, un informazione d’attualità controllata e mediante questo semplice espediente il regime fu in grado di introdurre la politica direttamente nelle case di tutti gli italiani. Nel 1930 Lando Ferretti, allora capo dell’Ufficio Stampa diede istruzioni all’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, EIAR, (già URI) di preparare le attrezzature per la radiocronaca diretta di tutte le assemblee pubbliche all’aperto, patrocinate dal governo o dal partito, naturalmente le più importanti trasmissioni di questo tipo erano quelle da piazza Venezia quando Mussolini parlava alla folla dal balcone del suo studio.
Nel 1931 quasi il 50% dei programmi dell’EIAR aveva carattere musicale, i notiziari il 22% ed il 10% era costituito da programmi per bambini, il resto dallo sport e dalla pubblicità.Alla fine del' 31 c’erano in Italia 9 grandi stazioni radiotrasmittenti, ma nonostante la popolarità della radio fosse notevolmente aumentata, non era ancora divenuta una presenza costante nella vita quotidiana degli italiani, i quali nutrivano nei suoi confronti ancora vaghi pregiudizi. Furono alcuni esponenti del regime tra cui Arnaldo Mussolini a sottolineare quale fosse uno dei più importanti compiti nei confronti dello sviluppo della radio, la quale doveva conformarsi a rigorosi criteri di responsabilità, per cui il suo sviluppo andava seguito e controllato poichè la radio non doveva diffondere canzonette ma assolvere una funzione educativa. Il comitato superiore di controllo sulla radiodiffusione nel 1931 evidenziò due principali fattori di debolezza della radiofonia: il numero limitato di apparecchi presso i contadini e gli operai e ma necessità di sviluppare nuove tecniche per utilizzare la radio come strumento di cultura. Il comitato suggerì per superare questi ostacoli che il governo distribuisse apparecchi radio a ciascun gruppo del dopolavoro, scuola e istituti, e che inoltre la radio dovesse trasmettere un maggior volume di programmi culturali, attraverso i quali si sarebbe potuto effettuare un indottrinamento culturale e politico di massa.
Nel corso degli anni ‘30 le preoccupazioni della politica radiofonica fascista si concentrarono su questi due punti. Sotto la direzione di Costanzo Ciano il Ministero delle Comunicazioni dotò di apparecchi radio le scuole rurali, con lo scopo di raggiungere non solo gli scolari ma anche le loro famiglie; i primi mille apparecchi distribuiti venivano utilizzati a turno dalle scuole comunali e di sera erano offerti in prestito alle organizzazioni degli agricoltori. Nel giugno del ‘33 fu creato l’Ente Radio Rurale, incaricato di distribuire apparecchi radio nelle scuole elementari delle campagne. Il vero scopo della radio rurale era naturalmente quello di portare sistematicamente la propaganda fascista alle masse rurali, tradizionalmente isolate, e inoltre per quanto riguarda le scuole rurali quello di fornire agli insegnanti, attraverso la radio, uno strumento didattico per rendere più piacevoli le lezioni di storia e di educazione civica; considerato anche che molti insegnanti in passato si erano lamentati per il fatto che i ragazzi dei loro paesi non avevano mai ascoltato la voce di Mussolini e che quindi il fascismo e i suoi capi non potevano avere una presa immediata. I programmi destinati però specificamente agli ascoltatori della radio rurale erano scadenti e semplicistici, cominciavano con brani musicali, discorsi di esponenti dell’EIAR, programmi religiosi, scientifici.
Nel 1942-43 Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale, promosse esperimenti di uso didattico della radio durante le vacanze, per permettere agli studenti di studiare a casa. Nonostante questi tentativi di superare il provincialismo culturale e politico, permaneva tra i contadini una diffusa riluttanza nei confronti di un apparecchio che non faceva altro che sconvolgere il loro modello di vita, legato all’isolamento, e inoltre i programmi culturali non erano altro che un doppione di ciò che già si faceva a scuola, per cui la radio era ancora considerata come fonte occasionale di svago, per cui l’obiettivo mussoliniano della radio in ogni casa non fu raggiunto; alla fine del 1937 il totale degli abbonati all’EIAR ammontava a ottocentomila ed erano in funzione diciotto stazioni trasmittenti.
Fattore di ostacolo all’acquisto di un apparecchio rimaneva ancora l’alto costo, indubbiamente proibitivo per una famiglia operaia media. Il regime cominciò, verso il ‘33, a considerare l’idea di produrre una radio popolare, ad un prezzo bassissimo così che potesse entrare anche nelle case più modeste. Il programma della “radio popolare” fu annunciato al pubblico nell ‘aprile del 1937 con il nome di “radio balilla”, ed offriva un apparecchio in modello unico, semplice al prezzo di 430 lire, pagabili in 18 rate mensili. Il progetto della “radio balilla” si propose di dare alle classi lavoratrici delle città e della campagne la possibilità di acquistare un apparecchio radio ad un prezzo modesto ed inoltre attraverso esso , l’istruzione, la musica,e la cultura in generale avrebbero cessato di essere privilegio di pochi.
La formazione di un pubblico radiofonico fu in realtà realizzata con esiti diversi da quelli che il regime desiderava, con una contrapposizione tra l’incentivo all’ascolto di massa e una gestione autoritaria dello strumento per ciò che riguarda l’apparato produttivo. La radio sarebbe poi penetrata nei ceti operai soprattutto come hobby, addirittura con atteggiamenti di rifiuto della programmazione e dell’ascolto passivo, con una notevole attenzione alle radio di altri Paesi, che alle soglie del secondo conflitto mondiale costituirà le basi dell’ascolto clandestino.
Il processo di massificazione della radio fu dunque in Italia lento e parziale, lento perché i ceti popolari furono per molto tempo esclusi dall’ascolto e parziale perchè la tradizione dilettantistica e la pratica dell’ascolto individuale rappresentarono la vera esperienza della radio, per cui si dubita che ci sia stato un rapporto stretto tra totalitarismo fascista e massificazione degli ascoltatori.







Note

(1)Memorandun di David Sarnoff per il presidente dell’American Marconi Company, in Franco Monteleone, ‘“Storia della radio e della televisione Italiana”, ed. Marsilio, Venezia, 1992, pag.3.

(2)Antonio Papa, “Storia politica della radio in Italia”, ed. Guida , Napoli

(3)Franco Monteleone, op.cit.

(4)Franco Monteleone, op.cit.

(5)Antonio Papa, op.cit.

(6)Il <<Broadcasting >> in Italia sarà perfezionatissimo, <<La Tribuna>>, 4 ottobre 1924, anche in A. Papa, op. cit. pag.24.

(7)Alberto Monticone, “Il fascismo al microfono”, ed. Studium, Roma

(8)Il primo discorso di Mussolini alla radio è del 1924, ma a causa di un inconveniente tecnico i radioascoltari ascoltarono soltanto scariche e fischi: da qui nasceva una certa diffidenza del duce verso la radio, diffidenza vinta in seguito al discorso per le Americhe diffuso dalle stazioni a onda corta di Roma.